Mrs. Dalloway said she would buy the flowers herself
Il giorno dopo, sui fornelli, campeggiano prepotentemente le pentole con gli avanzi. Il giorno dopo, i piatti escono profumati dalla lavastoviglie, ma prima di svuotarla, ci vuole un caffè. Così accendo la macchina, mi nascondo nella vestaglia, scaldo la tazzina con l’acqua calda, fuori c’è il sole: un altro giorno di cieli azzurri e polveri sottili. Un altro giorno con la tosse e il sole che si fa beffe dell’inquinamento. Caffè rigorosamente senza zucchero, così posso autorizzarmi a mangiare schifezze durante il resto della giornata. C’è ancora la tovaglia da ritirare, bevo il caffè seduta al tavolo, scrutando la trama sottile del lino e studiando le macchie. C’è il circoletto viola della bottiglia di rosso, una manata di polenta lasciata da uno dei bimbi, il sugo scivolato giù dal mestolo mentre impiattavo – Non tirare la tovaglia ché ti casca tutto addosso. Alla fine nemmeno ieri ho usato i sottobicchieri. Non riesco proprio a ricordarmene, sarà perché li odio, mi ricordano le case vecchie, con le rigide abitudini, la mania di non sporcare le tovaglie, seduta dritta, i gomiti giù dal tavolo, immagina di avere in testa un libro, ci si alza da tavola solo quando lo dicono gli adulti. Seduta dritta, si mangia tutto, non si interrompono i discorsi altrui. E i sottobicchieri. Li ho comprati pure buffi, in silicone nero, una riproduzione in miniatura dei vinili dei Beatles, ma li avrò usati una volta. Poi ho pensato fossero troppo pacchiani e ho optato per quelli in sughero, che mi sembravano più in linea con la palette cromatica di casa, insomma si intonavano bene con il parquet color miele della sala e il pelo del cane. Ecco, questi ultimi in sughero sono ancora confezionati, mai usati, giacciono nella credenza tra i piatti da portata e il tagliere in ardesia che si usa per i formaggi e il salame dell’aperitivo.
Il caffè si sta raffreddando e io sto ancora contando le macchie. Medito se scotolare e smacchiare subito o se infognare la tovaglia nel cesto della biancheria e lasciarcela sul fondo per mesi, fino a quando non troverò la voglia e il coraggio di prelavare a mano col sapone di Marsiglia, così come vuole la tradizione. Odio lavare a mano. Così come odio rammendare. So cucire i bottoni, ma è una cosa che faccio sempre di malavoglia, mugugnando e sbuffando. Non mi piacciono nemmeno tanto le cene, a me piace cucinare e sistemare il giorno dopo, ripensando alla sera precedente. Anche se ci sono pochi ospiti, finisce che ci sono comunque troppe parole cui stare dietro, i bambini che a una certa sono troppo stanchi per capire qualcosa, finisci il bicchiere giusto per riempirlo di nuovo, nemmeno ti accorgi di quello che mangi e, cavoli, la carne andava salata di più e anche stavolta ho preparato troppi antipasti.
Il giorno dopo ripenso a quello che gli amici hanno raccontato e, coi miei tempi, comincio a fare collegamenti mentali a canzoni, stralci di libri e, se penso che possa essere in qualche modo utile, gli mando anche un messaggio. Arrivo dopo, mostruosamente in ritardo, perché nel durante sono troppo concentrata sulla performance della cena. Così mentre mi barcameno con l’ansia dello smacchiare subito o meno, provo a ignorare il problema cercando tra gli scaffali il volumetto di Mrs Dalloway. Non lo trovo, devo averlo prestato a qualcuno e non è mai tornato, fa niente, cerco l’incipit on-line. L’importante è che qualcuno oltre a me l’abbia letto. Cosa me ne faccio di tutti quei libri se poi devo solo spolverarli e litigare per come ordinarli. Preferisco saperli dispersi, immaginarli fuori posto, su una panchina, il tavolino di un bar, un treno. Immagino le orecchie - che metto per ricordarmi le parti migliori - infastidire il maniaco del libro, quello che non sottolinea nemmeno a matita, che non vuole piegare la costa. Mentre i libri in mano mia durano davvero poco. Li tratto male, li porto ovunque, a volte ci scrivo sopra appunti, relativi al testo o completamente fuori luogo, e poi adoro leggere mentre mangio. Tra quelle pagine si trovano tracce di aceto balsamico, the, caffè, briciole di noci, i miei capelli in base alla lunghezza e al colore del momento e, soprattutto, tabacco.
Narrativamente parlando dovrei chiudere con grazia questo pezzo, ma mi viene in mente solo Mrs Dalloway perché fuori fa fresco e c’è il sole:
(…) what a morning – fresh as if issued to children on a beach.
Ho deciso di lavare subito la tovaglia, ma dubito che riuscirò mai ad usare i sotto bicchieri.