Nervi
Quando sogno, sogno male. Sogno male, credo per questo di ricordarmi i sogni. Non ne parlo, non li scrivo, lascio che la più parte delle volte si dimentichino. Se si conservano li riutilizzo in total recall, arbitrariamente, con il massimo della coscienza disponibile. Sognare male e poter utilizzare ciò che resta è una pratica che non ho sviluppato e che non so spiegare meglio di così: mi capita.
Da diverso tempo sognare male non è più faticoso e quando si presenta l’evenienza non ho strascichi lungo la giornata. Un tempo le giornate erano un lungo ed eterno orrendo sognare. Ho faticato molto uscendo da quella fase per ritrovarmi in questa, non priva di fatica, ma fortunatamente altre.
La mancanza di desiderio che negli ultimi tempi ho vissuto è una mancanza di desiderio molto meno dolorosa del sognare male precedente a questa fase. La serenità che mi da il controllo e la possibilità di eliminare i rischi d’errore sono l’anestetico alle mie nevrosi più feroci, per questo sopporto con anche troppa grazia l’assenza di desiderio. L’ambizione mi annichilisce. Quando ambisco divento un animale sofferente e temo ogni cosa. Per ambire devo transitare nel nulla, un nulla amniotico in cui la pigrizia si fascia di orpelli lavorativi, impegni relazionali, cura generica per il rapporto che ho con il mondo. È una pigrizia sotto mentite spoglie, che vestendosi d’attivazione esce dal radar e non mi ricorda della possibilità di far altro, di puntare altro, di viaggiare alto.
Non amo questo futuro e vorrei evitarlo il più possibile proprio come evito che il sognare male si appiccichi alle suole delle scarpe dei miei pensieri. Lo scontro con il paventarsi di questo futuro è così faticoso che vorrei dichiarare sconfitta da subito, delegare il compito a qualcun altro sicuramente più performante, più centrato, più interessato agli obiettivi, ai percorsi, alle strategie, a tutto ciò che intercorre tra l’ora e un fantomatico tempo posteriore alle cose da fare. Se potessi esprimere un desiderio chiederei una sostituzione di me, non potendo contare sulla sostituzione delle cause ambientali.
C’è qualcosa di più feroce dentro di me che la rabbia sviluppata dall’incompatibilità con il fatto finora? Tanto, mi dico, che servirebbe, chessò, anche esplodere in una furia d’abbandoni, uscite, lasciti improvvisi? Servirebbe. Servirebbe nel adoperare le stesse pratiche che di converso poi spostano i fuochi d’interesse o tramutano in nevralgie sociali i rapporti stessi.
Che smacco. Che successo.
Nelle ore passate nel portare ordine, dal divano verso la televisione accesa, passano alcune vite ed eventualità. Sfogliarle come l’agenda delle possibilità, con la tecnica del total recall del sognare male ributtato sull’astrazione e la riconversione degli accadimenti.
Un incubo di mostruose dimensioni prende vita nella periferia romana tra la notte il pomeriggio, colando come melma nelle grate di scolo dei pensieri.