Ciao Margherita,
come prima cosa permettimi di dirti che sono un idiota. Sai quanto mi costi ammetterlo e sai anche che non ci credo fino in fondo, ma senza questa premessa c’è il rischio che tu possa premere il tasto cancella senza leggere il resto della mail. Ti scrivo da Puerto Ayora, qui sull’isola è sera, abbiamo raggiunto le Galápagos ieri con un piccolo aereo privato di due sceneggiatori francesi che abbiamo conosciuto a Quito. Due vecchi pazzi e un pilota completamente ubriaco, mi fanno ancora male le mani per essere stato aggrappato ai braccioli durante tutto il tragitto. Fortunatamente siamo arrivati sani e salvi e ad accoglierci c’era questo mare pazzesco.
Sono passati due anni dall’ultimo messaggio che mi hai scritto, mi dispiace non essere stato capace di evitare questo silenzio, ma ho sempre avuto paura di affrontare tutto quello che è stato e ricadere di nuovo schiacciati dai carichi dei nostri caratteri ingombranti. Ti ho detto che siamo stati responsabili entrambi, ma non ho mai ammesso in che misura io lo sono stato e ripensandoci avrei dovuto farlo. Ad ogni modo, ora è troppo tardi e non importa più a nessuno. Ieri sera alla festa per il nostro arrivo una ragazza ci ha accolto cantando quella canzone, non pensavo a te da non so quanto e mi sei venuta in mente così forte che è stato come ricevere un cazzotto nei denti. Non posso dire che la tua presenza sia poco impegnativa, nemmeno nei ricordi.
Spero che tu sia felice, solo questo. Non voglio aggiungere altro.
Ciao, Mattia
- Che fai?
- Ho scritto una mail a Marghe.
- Quella Marghe?
- Quella.
- Perché?
- Mi manca.
- Le hai scritto questo?
- No.
- E allora?
- Volevo solo sentirla.
L’ultimo giorno che l’ho vista, teneva la faccia schiacciata tra le mani con gli occhi gonfi di lacrime. Ero così sfinito dal nostro rapporto che avrei voluto premere il tasto reset e cancellare ogni ricordo. Marghe sapeva usare le parole fino a confondermi, faceva dei gran giri in intricate analisi comportamentali fino a portarmi nei luoghi più oscuri del pensiero dove mi sentivo completamente confuso, così ho imparato a stare zitto. Stavo zitto sempre, non le rispondevo più; c’ero, ma non c’ero. Era capace di dare un nome ad ogni emozione e sapeva trovare una soluzione ragionevole a tutte le nostre divergenze, ma poi non ne attuava nemmeno una. Poteva attraversare ogni tappa dell’amore in tempi record, in tre giorni volava dalla tenerezza all’indifferenza, passando attraverso la rabbia, mentre io finivo risucchiato nei suoi vortici senza riuscire nemmeno a decifrare la mia irrequietezza, figuriamoci la sua. Era stato bello averla accanto, avere qualcuno che fosse sempre entusiasta dei miei racconti, che mi accarezzasse in silenzio quando ero io a sentirmi ferito. Era bella lei, in generale, ma era troppo. Non le ho mai mentito, ma ho omesso ogni cosa che potesse essere un appiglio per le sue mirabolanti pippe mentali.
Avrei voluto scivolare lontano da lei come le chiusure in fade out, ma Marghe fa il casino di una fanfara in un ripostiglio. Ho sempre creduto che volesse qualcosa che non potevo darle. Fino al giorno in cui ha incontrato lui. Me l’ha detto asciugandosi le guance impastate di nero e lacrime. La guardavo in silenzio, sollevato, senza riuscire a capire la contraddizione tra le sue parole e i suoi gesti. Eravamo entrambi innamorati di qualcuno, liberi finalmente dal nostro rapporto. Non so come mi sia uscito quel “amica mia”, mi è scappato dai denti in un sibilo così giusto e sentito che l’ho subito ripetuto per essere certo che mi avesse sentito. Ha reagito con il sorriso rilassato di chi ha appena vinto l’ultima battaglia e non ha più intenzione di combattere. Ci ho messo anni a capire che non aveva sopportato il mio ermetismo per amore, ma per affetto, ricevendone ben poco in cambio. Non so dove sia Marghe ora, mentre io me ne sto sdraiato accanto alla donna che amo, fissando il ventilatore appeso al soffitto nella mia stanza su un’isola del pacifico. Lo saprei, se fossi stato capace di dirle quanto erano belli la sua amicizia e il suo caos, ma non ho mai avuto nient’altro da aggiungere.