Non è successo niente
Dal Marshallbrücke posso ammirare il lungofiume deserto, le facciate illuminate, le silhouette delle scale e degli uffici vuoti, decorazioni astratte, riproduzioni fittizie di una città disabitata. Più a destra, tre grandi alberi si affacciano sullo Spree; ancora oltre si alzano le ombre del Reichstag, il parlamento tedesco, le bandiere flosce per mancanza di vento. La cupola luminosa, priva dei visitatori che ne percorrono la salita a spirale, è un altro monumento scheletrico alla notte. Nessuno solca le immote vie che conducono alla Brandenburger Tor, il centro storico di una città senza centro e senza storia, o con una storia troppo recente. Proprio questa sera si celebra l’ultima rinascita della metropoli, una ricorrenza più giovane di me, eppure le uniche persone che si muovono in questa notte silenziosa sono quelle che percorrono il ponte, avanti e indietro, fino al blocco di polizia dove due uomini in tenuta antisommossa spiegano che è tutto pieno e oltre non si può andare. Cordoni, transenne ovunque, ambulanze, polizia, il centro di Berlino è barricato per i festeggiamenti: nessuno può raggiungere la Porta di Brandeburgo, sono già troppi. Esattamente trent’anni fa, in seguito a una serie di eventi non propriamente accidentali ma neanche del tutto coordinati, era caduto (fisicamente) il muro di Berlino. Non lontano da qui, sulla facciata di non so quale edificio, sono proiettate le parole Das gilt glaube ich ab sofort. Dopo aver assistito a quell’annuncio inaspettato, decine centinaia migliaia di uomini e donne si erano assiepati ai posti di blocco lungo il muro e avevano ottenuto quello che ora il pubblico annoiato non riesce. Decine di famiglie pascolano placide su e giù per il ponte, giovani venuti per fare festa, gruppi di turisti e semplici passanti, curiosi o ansiosi di mancare una ricorrenza tanto importante; bastano due uomini armati di un fucile d’assalto (Heckler & Koch G36) e una buona dose di sufficienza per mantenere l’ordine.
Una serie di botti riempie l’aria, esplosioni fra le pareti degli edifici governativi, le strade deserte si riempiono degli echi ripetuti, la metropoli viene spazzata da un brivido e persino i due poliziotti cambiano espressione, anche se solo per un momento. Nel cielo si accumulano le luci dei fuochi artificiali, le scariche si moltiplicano e la folla torna veloce sul ponte per vederli emergere oltre la selva di costruzioni a sette piani. Gli stili architettonici si mescolano nel buio, nelle acque scure del fiume vengono riflesse solo le luci delle vetrate accese e dei fuochi d’artificio, colonne bianche, gialle, azzurre, rosa. Portata dalla corrente, vedo avanzare una figura minuscola sotto di me, nascosta dai festeggiamenti, dal brusio della folla, dall’accumularsi della storia, ripetuta e incompresa: un corpo umano, una protuberanza delle tenebre che procede lenta fino alla larga curva dello Spree e che scompare mesta fra i riflessi sempre uguali di edifici diversi.