PRIMAGLIITALIANIDIBERLINO
Sono una persona semplice (esagero), e se Bebo Grandmaster ci invita in questa sede a definire l'italianità (-->Fantastico n'25) e a svestirmi quindi per un attimo dei cenci formali che mi son più comodi, io rispondo una cosa sola: ok capo, ma prima passami il pane.
E un po' d'olio.
Due cose in verità - vabbè.
Innanzitutto.
Sono nato e cresciuto alle porte di campagna di una piccola cittadina sub-alpina, ai piedi di tutto un semicerchio di belle montagne, gran rocce, gran boschi, gran vallate. Alle mie spalle dalla finestra di via Franzin, quello. Davanti a me invece l'imbocco con la pianura padana - dicono alcuni savi del mio paese che se ti metti nella Collina Delle Rane nelle giuste serate limpide di maggio, scorgi Venezia.
Ma-cosa-vuoi-scorgere-cosa, penso. Eppure crediamoci.
Insomma, sono nato a Schio, in Veneto: le prime foschie gli ultimi di settembre, i campi di pannocchie secchi e duri, il giro in centro il martedì pomeriggio che davvero sembra non esserci nessuno, la sagra delle castagne su in collina a Monte Magrè. Liliana, orfana di padre soldato per Mussolini e praticamente priva di madre, è nata e cresciuta lì, in una fattoria, con tanti fratelli. Poi ha incontrato mio pace, e mio pace è nato di fronte alle Isole Eolie, in una bolgia di caos piccolo-urbano, tutt'altro che orfano (figghiu unicu) e con tutta l'attenzione dei vecchi genitori anti-fascisti sistematisi in una casa lunga e stretta a cento metri dal mare; lì ho passato tutte le estati della mia vita, innamorato dei miei due unici nonni. A Milazzo è 'sto posto, insomma. Di nonna Sara ho qui una vestaglia da casa blu coi fiorellini piccoli bianchi che ho fatto ben cucire a mamma e che ho uso-riciclato a borsa per la spesa: ciao nonna †, conservo qui le foto di quando facevamo insieme i pitoni alle acciughe. Eri buffa, con quegli occhiali grossi e la voce afona, la forchetta a chiudere il calzone.
"Ah i veneti, solo lavoro e puntualità e poca leggerezza!".
"Ah i siciliani, fannulloni ritardatari e affabulatori!".
Così si dicevano a vicenda i popoli dei miei sangui, mentre io in mezzo mi facevo ombra con lo yin e lo yang di mamma e papà: "Ma quindi, chi è più italiano? E quando arriviamo a casa?".
Sono andato via dall'Italia a ventitré anni, nel duemilaeotto. Prima in Francia, poi in Germania. Nel mentre ho imparato (chi peggio, chi meglio) quel quartetto di lingue - giusto perché non è che mi piace stare con le mani sul pisello a guardare la gente che va a comprare le stronzate da Tutto Un Euro.
Da dove vieni, tu. Quante volte, che me l'hanno chiesto.
Per te cosa vuol dire essere italiano.
Voi italiani siete così.
Italiano vero? Eres italiano?
Ma te lo dico subito: mi sento tanto italiano quante sono le parole italiane che conosco.
E sono tantissime. Te ne cito solo alcune e morta lì: incudine, vernacolo, jerry calà, formaldeide, protocollare, schematico, cerignola del brenta, impiccagione, trastevere, soppressa, cirino pomicino, ineffabilità.
Sì, sono italianissimo.
Uh, maronn' mie, hai voglia a parlare di calcio italiano, di cinema it_, di musica it_, di geopolitica it_, di cucina it_, di lingua it_, di cazzate tutte it_, ambra angiolini, il dottor di bella, daniele baldelli, i monologhi di gianni vattimo, peppino impastato. Uh! Uhh!
Da cui però la domanda: essere molto italiano, include un intrinseco valore di merito?
Da cui la risposta: sai che non penso proprio?
Fiero di essere italiano o fiero di essere? Contento di parlare italiano o contento di parlare bene una lingua?
Quanta accidentalità, in fin dei conti! Quanti pochi meriti e quante poche colpe!
Si tratta solo di una lingua che parlo, di storie su quella lingua che racconto in quella lingua.
E gli stereotipi, dove li metti? Il ritardo, la gesticolazione, l'irruenza, la musicalità della lingua, la corruttibilità del politicante? "Eh perché voi in Italia!", "Eh perché noi italiani! "? E dove lo metto che il mare italiano è solo italiano e che non esistono posti come Matera nel mondo, se non dentro un gran bel graziarcazzo? E dove li metto, nel culo della Pellegrini insieme ad un rosario spinato, li metto.
Non è l'essere umano, nessuno escluso, accomunato h24 dalla tendenza a creare e distruggere, vivere e morire, rincorrere e superare? Non è che, anche se fosse, per cento italiani ritardatari che ti danno a noia, esistono cento cinesi poco inclini a ridere e che ti danno un po' a noia? Stai manzo che pure in Mongolia nel deserto la gente fa ritardo, stai manzo che pure a Rio De Janeiro la gente può far schifo.
Cosa sento essere questa italianità dentro di me, se non la lingua stessa e la conseguente capacità storicizzante e narrativa? Scrivo su Fantastico! Mica su Fantastisch!
Parlo italiano, ergo sum (italiano).
Poi vabbè, parlo un bel po' di americano, un bel po' di tedesco. Am I, then? Bin ich, dann?
Eh sai che credo proprio che un po' sì. Californiaaaaaa...
E sai che però non ne sono sicuro, nonna? Quali erano i suoni che mi regalasti, nonna, tanti anni fa, quando ancora avevo i capelli lisci?
Faceva così, faceva Gioia, pigghia la forchetta. Così devi fare. Bisogna che devi chiudere le pizze così, non cioppo forte che poi si fa ammale. Poi le mettiamo nell'olio che frigge, vedrai che buone che vengono, Gioia. Non lo toccare il forno, che tibbrusci. Ora vatinne ammare col papà, che ancora per manciare... ce ne vuole, uh...nav'a passari 'i tempu!
Un italiano vero.