È tutta la città che non ha mai granché da fare quando piove, per quanto sia eternamente in ballo. E nella straordinaria passività di un pomeriggio di un giorno di pioggia scartabello un po’, fra un libro iniziato, una collezione di scontrini antichi da accartocciare, appunti da riorganizzare e talvolta da deridere per la loro inutilità. Anche se un po’ mi dispiace prendermi gioco di loro, ché un tempo mi sembravano frasi acute, rime intelligenti, abbozzi di canzoni e altri trastulli letterari con un fine da raggiungere. Là fuori canticchiano l’asfalto e i cofani delle auto parcheggiate, mentre il cielo si riversa e non è che ci sia granché da fare.
Sorseggio il caffè avanzato della mattina -lo amo freddo e stagnante-, carico il cestello della lavatrice, sistemo le estremità dei lacci della scarpa sinistra che da qualche settimana sono di lunghezze diverse e il nodo è un rompicapo.
Riordino l’ammonticchio di posta accumulato avendo cura di dividere le bollette dalle rendicontazioni bancarie, la corrispondenza dalla pubblicità. Nella finestra rettangolare riservata al destinatario il mio nome è in stampatello maiuscolo. Penso alla stabilità visiva dei caratteri che compongono il mio nome, lettera per lettera, e mi immagino il mio nome appoggiato sul tavolo della cucina. Penso agli equilibri e all’invisibile correlazione che questi equilibri hanno sulla mia natura.
La G è una lettera malferma, che basta un niente e crolla sul lato sinistro, ma per buona sorte porta con sé quell’asticciola verticale che la tiene in equilibrio, un autentico bastone della vecchiaia.
La I è la più instabile delle lettere del mio nome, così vulnerabile alle intemperie e destinata a capitombolare al primo soffio di vento.
La A è una tour Eiffel, col ballatoio, ma senza ascensore.
La C è come la G, ma più disgraziata e destinata a rimanere gambe all’aria come una tartaruga che non riesce a drizzarsi.
La O è un’armatura, la più forte corazza del mio nome.
La M è la più salda delle lettere, con tre punti d’appoggio e una resistenza alle perturbazioni della vita, alla maniera di una grande quercia, alla maniera di un ribelle.
La O è uno Sputnik sparato nello spazio ed è bello averne due nel mio nome.
Penso che non abbia alcun senso dare un senso a questi equilibri.
Ma è pur sempre un pomeriggio barboso.
Con l’asfalto e i cofani che canticchiano.
E quando il cielo si riversa di sotto
non è che io abbia mai granché da fare.
Buona.