Quando potete fermatevi a guardare i lavori in corso
“Attraverso il corpo io vedo l’anima.”
Marina Abramovic
Attraverso il corpo io vedo il mondo.
Io lavoro su scatole chiuse; i corpi dei morti sono scatole già chiuse, sigillate. Non c’è più nulla del mondo che possa cambiarle e non c’è più nulla che possano cambiare nel mondo. Le mie scatole chiuse sono esauste, sono finite, concluse e non si apriranno mai più.
Le scatole in vita viaggiano: dapprima vuote per bianche spiagge sconosciute e infine, riempitesi di sabbia, possono riversarla ovunque. Possono gelosamente conservare una musica e poi schiudersi spontaneamente per farla ascoltare alla persona giusta. Possono restare chiuse per molto tempo e aprirsi alla delicatezza di mani esperte. Le scatole vive possono custodire emozioni, impressioni, tavolozze colorate, vento, sole e burrasca, ma nel contempo possono svelare il loro contenuto riversandolo all’esterno, contagiando ciò che le circonda. In un continuo rimando di input e output.
C’è sempre qualcosa all’esterno, come c’è sempre qualcosa all’interno; l’importante è far funzionare il concetto che sta alla base delle scatole: una possibilità di comunicazione, di contaminazione, perché ciò che è fuori potrebbe entrare e ciò che è dentro potrebbe uscire.
Vivere significa stare fisicamente nel mondo, mi rendo conto che è una definizione un po’ generica, ma il punto è che il nostro corpo ci permette di registrare tutto quello che accade attorno ad esso. Non solo. I nostri sensi sono costantemente bombardati dagli stimoli esterni, ma non reagiamo a tutti, solo ad alcuni.
Se prestassimo attenzione a tutto ciò che rileviamo fisicamente in un secondo è quasi certo che daremmo di matto. Per esempio se badassimo a tutti gli stimoli tattili cui è sottoposto il corpo costantemente, dovremmo aver sempre presente la sensazione del calzino di cotone, la caviglia scoperta che prende freddo, l’elastico delle mutande e del reggiseno, il bottone dei pantaloni che tira sulla pancia, la t-shirt di cotone, il maglione di lana che pizzica sulle braccia, mentre le dita digitano sulla tastiera – e ho preso in analisi solo uno dei cinque sensi. Invece, succede che tutti questi impulsi sensoriali passino in secondo piano e senza accorgercene finiamo col prestare attenzione solo ad alcune percezioni, ossia quelle che ci colpiscono. E quello che può apparire straordinario ed unico ai miei sensi, ciò che mi stupisce, non corrisponde quasi mai a quello che potrebbe catturare l’interesse di un altro individuo. Questo è il gioco e questa è la magia: l’essere piccole scatole vaganti il cui mondo interiore si è costruito a partire dall’esterno, dalle personali esperienze corporee. L’esterno si riflette all’interno e viceversa, in un continuo rimando per scrivere il presente con la vita già passata, tanto che il futuro è solo un déjà vu.
Spesso il rischio è che tutto quello che si è costruito nella scatola resti chiuso lì, che non fluisca fuori, che le occasioni vadano in fumo, le idee vengano conservate gelosamente, le tante energie sprecate, quando basterebbe prestare ascolto a ciò che più stupisce i nostri sensi e reagire. Reagire e non ricacciare via la sensazione, lo stupore, ma abbandonarcisi e tutt’al più domandarsi perché ci coinvolge così intimamente.
Perché quel profumo ci sconvolge? Perché il pensiero lo ricrea, perché lo ripropone incessantemente come se non ci fosse più spazio per tutto il resto? Perché le altre sensazioni spariscono di fronte a quel richiamo olfattivo?
Che vuoi che sia, sarà solo una sensazione!
Sì, è una sensazione, ma non è solo questo: è una tra mille che è stata selezionata, sembrerebbe istintivamente. In realtà non è una scelta casuale, bensì dettata da tutte le esperienze pregresse. Perché oggi non siamo identici a quello che eravamo due giorni fa, siamo già mutati, abbiamo già acquisito (o, peggio, perso) qualcosa.
Poi un giorno, la nostra scatola smetterà di percepire, di sentire, la scatola si chiuderà definitivamente portandosi dietro tutto quello che è rimasto impigliato dentro. La costruzione del pensiero, l’odio, l’amore, il piacere, il disgusto e il disprezzo: chiusi lì tutti insieme, come se fossero niente, chiusi per sempre. Ed è un per sempre definitivo, non da baci perugina.
A tutti quelli che aspettano il momento giusto, la persona giusta, la parola giusta. A quelli che vorrebbero, però poi Non si sa mai, forse è meglio vedere più avanti, eh sì, sì più avanti si vedrà. A quelli che tesaurizzano energie per non disperderle e vivono menomati, vivono di amori dimezzati, di gioie sghembe e per la paura di giocarsi troppo non si giocano mai nulla. A quelli che stanno fermi, a quelli che corrono così veloci che non riesci a farti ascoltare, quelli che hanno i sogni nel cassetto e la paura in tasca, a quelli che Le cose stanno così, a quelli che Ma cosa ci vuoi fare. Avete l’eternità per restare fermi e chiusi nelle vostre scatolette: apritevi adesso, cantate ora tutte le canzoni che vorreste cantare, scrivetele ora quelle poesie che non avete mai scritto, fate le capriole, alzate il telefono per dirle che, prendete un treno anche se va affanculo, correte all’indietro, saltate gli ostacoli anche se rischierete di cadere. E in mezzo a tutti i traguardi e gli insuccessi, tra la sveglia rotta e l’appuntamento importante, tra la prima neve e le albe nere, in mezzo alla visione di voi che vi rimandano gli altri, quando potete fermatevi e guardatevi con i vostri occhi, tenetevi stretti e apritevi agli altri.