Questa è l'acqua
Basta superare le sei corsie (tre per senso di marcia) di Seestraße, tenendosi l’Hohenzollernkanal sulla sinistra, imboccare il sentiero pedonale fra i platani spelacchiati e percorrerne la brevissima discesa circondata dai cespugli di sempreverdi, da qui si può godere di un primo affaccio sulla forma oblunga del Plotzensee: quasi otto ettari di lago, chiuso a ogni estremità, a due passi dai quartieri residenziali. Il terreno è scuro e umido, ma le pozzanghere da evitare non sono molte; non piove da qualche giorno, fa solo fatica ad asciugarsi. Imboccando il sentiero sul lato nord-est si può scendere lungo il piccolo molo del noleggio imbarcazioni. Qualche pedalò e barca a remi sono rimasti ancorati al porticciolo, legati da catene e lucchetti, i salvagenti appesi alle pareti di legno, nient’altro indica l’attività della bassa costruzione in riva al lago, abbandonata fino alla stagione estiva. Bisogna tornare sul sentiero per continuare la circumnavigazione del Plotzensee, d’inverno si troveranno pochi passanti e qualche intrepido corridore della domenica, diversi accompagnati dai propri cani, o viceversa. Ai lati della terra battuta, l’erba più resistente e le piccole pigne delle conifere circostanti arredano un terreno altrimenti spoglio. Non tutte le piante sopravvivono all’inverno tedesco. Verso metà del proprio percorso, ci si può affacciare alla rete sulla propria sinistra, che separa il sentiero dalla riva del lago, per ammirare lo spettacolo malinconico della spiaggia sull’altro lato: vuota e grigia, come tutte le spiagge fuori stagione. Bisogna immaginarsi la piccola folla di persone che la riempie a pagamento durante l’estate, perlopiù bagnanti locali, abituati all’acqua di lago stagnante e alla sua dubbia trasparenza; la sabbia stessa è un’operazione cosmetica, così come il supposto stabilimento, più simile a una colonia agli occhi di un italiano. La costruzione in mattoni rossi è incorniciata da scheletri di alberi alti almeno il doppio e illuminata da una luce fredda, filtrata da spessi strati di nuvole; nulla si muove all’interno del quadro senza tempo offerto da questo punto di osservazione: un grande teepee alto diversi metri campeggia ancora sulla spiaggia, di fianco a grosse cataste di legno, una passerella si allunga sulla superficie del lago e delimita un rettangolo di acque sicure, le postazioni dei bagnini sono vuote. Da questa distanza non si riesce a distinguere molto di più, forse una piccola forma antropomorfa, sulla battigia, ma per accertarsene è meglio completare il giro e scendere le scale di una delle costruzioni che delimitano i duecento metri di spiaggia. Gli ingressi sono aperti e non presidiati, gli edifici vuoti e bui, la sabbia è compatta e non sporca le scarpe. D’estate scendere questi ventitré gradini costa 5,50€. Se ci si avvicina alla riva, si può notare come lo sciabordio sia minimo (è un lago chiuso, già detto) e come non ci si fosse sbagliati: sulla battigia, accanto a due cigni accovacciati, il capo nascosto sotto alle ali, si trova un corpo nudo, un ragazzo sulla trentina, prono, il petto immobile. Le braccia lungo i fianchi, le mani verso l’alto, i piedi lambiti dall’acqua, sembra un relitto del lago. Senza preavviso un cigno si alza, sbatte le ali e si tuffa senza un rumore, andando alla deriva con apparente facilità.