Raccolta differenziale
Arrivo in stazione, di ritorno dalle ferie.
Scendo dal treno. Il cielo è plumbeo e piove, piove fortissimo e la gente attorno a me, ancora in pantaloncini, corre alla ricerca di un riparo dal diluvio. Capisco di essere ufficialmente tornato a casa. Non ho l’ombrello e perdo il pullman. Decido, senza un motivo preciso, di punirmi per questo errore andando a mangiare al McDonald’s. Non ne ho girati parecchi, ma sono convinto che l’interno di ogni fast-food sia stato concepito appositamente per essere plasticoso e arredato con colori accesi e brillanti al punto giusto da farti sentire in colpa se in quel momento non sei euforico, quasi ti costringessero a sorridere per non destare sospetti. Mentre sto uscendo, mi sento chiamare: è una mia ex-compagna del liceo. Quella che stava seduta in prima fila, che non andava benissimo e con cui non avevi nemmeno un gran rapporto, ma che comunque fa sempre piacere incontrare dopo anni. Le confesso di non averla risconosciuta nella confusione. Mi dice che è colpa della divisa che la spersonalizza: una tenuta di un color verde olivia sbiadita, corredata da un cappellino omocromo che la fa sembrare appena uscita da un centro estivo. Mi chiede come sto e le racconto di un paio di progetti che seguo. Lei ammette di aver abbandonato l’università perché non riusciva a pagare le tasse, che ora lavora qui fino a fine mese, poi chissà e che le vacanze non le fa.
Mi sento in imbarazzo.
Mi sento in imbarazzo per quello che faccio. Mi sento in imbarazzo per essere uno con la casa di proprietà, mi sento in imbarazzo perché faccio l’università mantenuto ancora dai miei genitori e non lavoro, mi sento in imbarazzo perché posso andare fuori corso senza problemi e perché posso permettermi di fare le ferie. Mi sento in imbarazzo per una mia coetanea che si arrabatta, facendo degli orari atroci per un lavoro di merda, in cui ti vestono come uno stronzo e ti lasciano in un posto in cui tutti devono essere per forza felici. Capisco cosa sono: un borghese. E mi sento in imbarazzo. E anche un po’ ingannato.
Saluto la mia amica e vado a gettare i rifiuti negli appositi contenitori. All’ultima pallina di carta, mi accorgo che, per quanto io abbia provato a dividere la carta, la plastica e l’indifferenziato, finivano tutti insieme, nello stesso sacco comune, senza che si riuscissero a distinguere.
Mi sento ingannato.