I.
Sento l’ansimare di una sensibilità innata
che continuamente è stata calpestata
Sento il suo ridursi per esser stata compressa
Il suo semplificarsi di natura complessa
Sento il sentire smettere di percepire
Percepisco lo scrivere smettere di vivere
Sento il contorno del razionale farsi scuro
Tra me il mondo l’ergersi di un muro
Non v’è più musica nella mia nausea di parole
Servirebbe un’accortezza che all’esistenza duole
Se mi concentro nel vero mi addentro
Se presto attenzione più tardi l’azione
Uscirà dai limiti dell’umana ragione
Causandosi necessariamente
facendosi canzone.
Se la vita è scambio d’energia
Allora adesso ha senso la mia
Nel vedere, osservare, connettere, comunicare
Gli atomi muoversi in flussi necessari
Succedersi geometrico di eventi ordinati
Rincorrersi antitetico di termini rari
Prendersi simpatico di suoni ripetuti
Riposarsi rinuncia di colori temuti
Occhio e orecchio si contendono lo spazio
L’attenzione altalena altamente grazie
All’incrociarsi sicuro rovinato di lingue
Che assorbe l’energia e pian piano l’estingue
Assorbe l’assorbimento di sovrabbondanti stimoli
Silenziando l’assenzio sulla presenza di vincoli
Insoddisfacente la metrica d’insistente predica,
Incalzante l’esempio di materia distante,
Sicuro l’esistere di realtà e viscere
Successo il crepare d’adesso distrarsi
Catarsi
II.
Mi sveglio e gioisco del sole.
Respiro e ricordo che no,
Non ne potrò godere.
La primavera avanza
E io posso solo osservare la festa della natura
Dalla mia (di)stanza scura
Qualche uccellino esce timido,
Attraversando persino distese di cemento,
Dall’aspetto limpido.
Le voci sbiadiscono
I colori s’intonano
Gli animali, piacevolmente sorpresi,
Riprendono possesso dei territori contesi.
Perché s’è fermata quella distruzione offensiva?
Che cosa ha saputo placare quell’ira cattiva?
Cosa ha spento la macchina patetica
Della vita umana, fino a ieri frenetica?
Qualcosa sembra aver steso un velo di calma improvvisa
Una pausa innaturale da urli e risa
Come si è riusciti in quest’impresa invivibile
Che da sempre pareva difficile?
Che sia stato il sorgere di un’arma potente
A bloccare per un attimo quella follia fremente
Sembra strano.
Eppure
Delle voci umane non giunge che un’eco lontano.
Che un piccolo nemico invisibile abbia cambiato tutto
Rimanendo impassibile...
Quanto meno bizzarro
Se non del tutto impossibile
Che quel minuscolo virus abbia poi forma di Corona
E’ un’ironia sottile,
Infida e sorniona
Un fatto che urla
“il potere ce l’ho io
umanità stolta,
una cosa che voi non mi avete mai tolta
è la facoltà di gestire, invocare, controllare
la vostra fine
non potete scappare”
E se lo scettro resta alla natura,
Finto è lo scettro con cui si tenta di levar la paura dalla testa.
III.
Mi avevano detto
che se fossi stata in grado di scrivere
sarei giunta alla liberazione
Mi avevano giurato che mi sarei sentita vivere
e invece io
partorisco solo confusione.
Io avevo pensato
che un poco di dedizione sarebbe bastato
a richiamar la sincerità del passato
oggi perduta
Avevo creduto che mi sarei ritrovata,
non appena avessi avuto tempo.
invece son caduta
E ora ascolto questo denso silenzio
D’una città paralizzata
tutt’altro che muta.
Il senso l’ho smarrito
la rima s’è rotta
io non ho capito
e me ne sto qui
sotto la nebbia che scotta.
Non trovo tema
ritornello nè maniera
d’esprimere il gomitolo della vita vera.
Per srotolare il sentimento
devo scivolar giù dalla collina
Lanciarmi senza fiato
Lasciami vicina.
IV.
Se ora tutto tace
Non è per notte
Né per pace
Questa gran secchezza
C’è chi pensa che la malattia
Porti consapevolezza
A me invece pare che
Tutto questo gran fermarsi porti via
Porti vuoti
Porti chiusi
E silenzi ancor più ottusi
Che non serva da catarsi
Ma ripeschi quei dolori
Che si credeva ormai scomparsi
Se costretti con noi stessi
Sembriam più persi,
Non più spessi
Pariam diversi
Parliamo in versi.