Siamo partiti poco prima delle undici di mattina. Sembra che tutti i sentieri di montagna inizino con una salita impegnativa. Serve per far prendere il fiato a quanto pare.
Oppure tutto inizia in salita?
Beh, fatto sta che già dopo dieci minuti mi stavo chiedendo se effettivamente ne sarebbe valsa la pena. Questo brutto vizio di pensare al dopo prima che arrivi.
È sempre così. All’inizio di ogni percorso la mente ti spinge violentemente in quel limbo di incertezza che avvolge i momenti successivi anche se sono ancora temporalmente lontani. Ti catapulta verso le infinite possibilità che possono o meno diventare realtà. Verso quella foschia che di prima mattina annebbia la vista del paesaggio fuori dalla finestra ma che piano piano, minuto dopo minuto, scompare e rende tutto più chiaro.
Entriamo in un bosco: siamo già abbastanza in quota e tra le fronde si intravede il blu. Il blu del mare che si mescola con quello del cielo.
E finisce il mare. E inizia il cielo. E finisce il cielo. E inizia il mare.
Il continuo succedersi dell’uno e dell’altro separati e contemporaneamente collegati da una sottilissima linea di orizzonte che sembra volersi nascondere per confondere qualsiasi essere vivente dotato di ragione.
E fantasia.
Chi è nato al mare, prima o poi al mare deve tornare. È un richiamo silenzioso il suo. Però non so cosa succede a chi invece dalla montagna può vedere il mare. Credo sia una condizione molto poetica e rara.
Non avevo mai raggiunto prima la cima di un monte delle Alpi Apuane. Forse nemmeno di una montagna in generale. O almeno non mi ricordo di aver mai provato quella sensazione che mi si è presentata spavalda dopo l’ultimo metro di salita nel momento in cui ho rimesso insieme tutte le capacità intellettive e mi sono guardata intorno. Quando ho alzato gli occhi fino a quel momento persi a studiare quale fosse il sasso migliore per appoggiare il piede, mi sono potuta distrarre.
Non ti senti il padrone del mondo. Ti senti piccolissimo in un mondo di meraviglia. Senti che vorresti avere una tenda e rimanere lì per un po’. Il tempo che serve per respirare e non pensare. O per pensare e basta.
Sognare.
Un mondo fatto della linearità del mare e dal ritmo delle montagne che si incontrano armoniosamente sulle note di una melodia non ancora suonata. E non c’è mai solo uno o solo l’altro. C’è sempre tutto. Un tutto che non è mai troppo. Che è giusto assaporare a piccole dosi. Un mondo in cui la natura possa mantenere i suoi spazi, possa parlare e leggere le stelle di notte. Senza essere sottovalutata. Senza essere calpestata e ignorata. In cui ognuno possa trovare un equilibrio come quello che ho raggiunto in pochi minuti, ascoltando il suono silenzioso del vento che mi scompiglia i capelli. Lo stesso vento che muove le piccole barche che si intravedono in lontananza, che suona le fronde e spinge via le nuvole nel cielo e nella mente.
Un mondo in cui tutti siano capaci di comprendere, in cui tutti abbiano rispetto, così come il mare lo ha per la terra, il blu lo ha per il colore delle rocce.
E per un attimo dimentichi quello che sta succedendo laggiù. Quello per cui vorresti fare qualcosa ma per cui non puoi fare niente, o quasi. Tutto quello di cui vorresti liberarti quando ti chiudi in camera a ballare e cantare a squarciagola delle canzoni che vorresti aver scritto. Tutto quello di cui vorresti scrivere senza però sembrare banale.
Un continuo oscillare finché non arriva il momento di rientrare.
Così tutto torna e la discesa sembra di nuovo salita.
Penso.
Non so cosa succederà. Il dopo non è ancora arrivato. Si avvicina silenzioso, in punta di piedi, come il mostro dal volto mascherato di un incubo di quando ero bambina.
Tutto è surreale.
Quel surreale di una città vuota. Quello di chi dimentica. È surreale dover immaginare il “dopo” come uno spaventoso enigma da risolvere.
È assurdo provare inquietudine. Sentirsi proiettati in un’umanità che non ti appartiene e stenti a riconoscere.
Eppure i pensieri in testa non si fermano.
Non possono farlo.
Forse il solito vizio di pensare al dopo prima che arrivi.
Ragiono su quello che potrebbe accadere, sul futuro. Incerto, nonostante la certezza riguardo la strada da prendere e percorrere per ritornare. Ed è così che a volte mi sento un po’ come la donna di Corcosin Sogni, ferma a pensare, immaginare, in un tempo immobile, con lo sguardo che lotta contro i brutti pensieri e si fa forza navigando in alto mare durante la tempesta.