Scale
La piccola mano era stretta in quella del padre. Ai loro piedi una grande valigia di cuoio. Il portone era imponente e scuro, una casa antica, un luogo nuovo. Dovevano scappare lontano, dovevano lasciare il passato in un angolo recondito della mente per avere il coraggio di iniziare daccapo, di scrivere un’altra storia. Lui si sentiva ancora più piccolo del solito, mentre guardavano il portone. Erano appena scesi dal bus, avevano camminato per venti minuti e avevano raggiunto la casa che era stata loro assegnata.
I suoi grandi occhi scuri aspettavano un segnale del padre, che restava immobile sul marciapiede. – inizieremo qui sai, ti piacerà. Forse ci sarà da fare qualche lavoro, poi hanno detto che i nostri libri arrivano, anche i tuoi giochi, Picci. – il padre sembrava rassicurare più sé stesso che il figlioletto. Lo sguardo smarrito si destreggiava tra il portone e la strada.
Aprirono il portone e salirono le scale. Scricchiolavano e si percepiva un forte odore di muffa. – dai Giacomo, attento a non cadere, vai piano, su, aiutami con la valigia. – Il piccolo saliva le scale ripide subito dietro il padre, sostenendo con le mani la grande valigia da sotto.
Aprirono la porta. Il piccolo appartamento era inondato di luce, i pochi mobili erano vecchi ma funzionali. Fecero un rapido giro. La piccola cucina aveva un balcone che affacciava sul cortile interno, c’erano due camere da letto e un bagno che si sviluppava in lunghezza. L’ingresso era corto ma abbastanza largo per riempirlo di libri e oggetti, pensava il padre. C’era posto per tutti e due. Al padre era stato assegnato un lavoro da bibliotecario alla biblioteca del paese, il piccolo avrebbe ripreso a studiare in un ambiente tutto nuovo. Giacomo era elettrizzato, un po’ attonito e inebetito. Prese la mano del padre e si strinse vicino alla sua gamba. – Dai Picci che non c’è problema alcuno, ce la caveremo alla grande. Questo fine settimana sistemiamo le mensole e dipingiamo le stanze, che dici? Hai visto che bel lettuccio che hai lì? Sai quante belle storie ti racconterò prima di addormentarti! – Il padre, Lorenzo con tutta la cura possibile cercava di raccogliere le paure del figlio, di metterle in un cesto e di trasformale in tante caramelle colorate, tanti piccoli giochi, che si inventava continuamente, crescendo da solo quel bambino fragile e curioso.
Erano scappati. Scappati da un mondo che non esisteva più, dove le strade erano diventate deserte e i sogni si spegnevano mentre si accendevano sempre più candele. La madre di Giacomo – pace all’anima sua – se n’era andata prima del grande strazio. Lorenzo, la portava appesa al cuore come un vessillo. Una volta la città brillava, i bambini correvano nei cortili fino a sera, le persone camminavano in un via vai infinito riempiendo le strade. Ma poi c’era stato il crollo, e le anime erano uscite dai corpi, le persone vagavano con occhi vacui in vicoli nascosti, quelli che ancora erano rimasti e il sole si rifiutava di sorgere.
Tanti come loro erano fuggiti, accolti in paesi lontani, arroccati sotto le montagne, vicino alle spiagge, dove l’aria profumava ancora di resina e di verde. Nessuno voleva diventare un fantasma, nessuno voleva più vedere quei corpi vuoti che camminavano per le strade con le buste di plastica in mano, che si accasciavano sui marciapiede, smarrendo la via di casa. Persi nell’oggetto, avevano dimenticato d’essere soggetti. Nessuno di quelli che erano riusciti a scappare avrebbe voluto vedere il proprio figlio senza più pupille.
– Si è persa la via di casa, ma noi ne abbiamo trovata un’altra Giacomo! Ce la caveremo ancora e ancora. – Giacomo stava già saltando sul letto nuovo e non vedeva l’ora di esplorare le viuzze del paese. Scese le scale come un razzo e si intrufolò per le strade. Dai davanzali aperti uscivano gli odori delle cucine, di salsa di pomodoro, di brodo e di soffritto. L’odore della cipolla che sfrigolava riempiva le vie.
Il Picci allora sfrecciò su e giù per le viuzze fino al tramonto, trovò un albero di pere e se ne sgranocchio due belle dure, quasi aspre. Non aveva minimamente pensato di tornare a casa e avvisare il padre dei suoi spostamenti, tant’era preso dal suo viavai.
Entrò in casa entusiasta mentre suo padre cucinava delle polpette al sugo; saltellava per tutta la cucina in uno sciorinare infinito di parole e astruse descrizioni, il padre lo ascoltava con gli occhi che brillavano. La cena fu parca ma decorosa, e la bottiglia di rosso del vinaiolo aveva scaldato l’animo di Lorenzo. Si sentiva fiducioso. Avrebbe iniziato il lavoro di lì a due giorni.
Il giorno dopo comprò a credito delle assi di buona betulla, grazie all’accoglienza del falegname, e cominciò ad assemblare scaffali e mobili semplici; i libri arrivarono con la corriera di quel giorno, e tutti trionfanti i due si misero a riempire mano a mano gli scaffali che entravano in casa. Si sentivano di nuovo i profumi, il calore delle stanze. Stavano creando un posto che molto presto avrebbero chiamato casa.
Per il Picci la scuola non iniziò subito, ma dal secondo quadrimestre. Si godé quindi le luci dell’autunno, il colori che cambiavano e la vita che si muoveva sempre più lentamente. Gli interni delle case iniziarono a tremolare delle luci di stufe e camini. Lui girava per il paese e parlava con i negozianti, rimediava sempre qualche piccolo gioco o qualche caramella. Intanto in paese era ben voluto, con quei suoi capelli scompigliati e la salopette stropicciata. Aveva già fatto amicizia con qualche ragazzetto una volta terminate le lezioni, nel pomeriggio.
Con l’arrivo del freddo cominciò anche per Giacomo il momento della scuola, in una classe nuova, con tante piccole facce tonde che lo fissavano con curiosità. Con i fantasmi non si poteva più andare a scuola e lui per l’occasione era eccitatissimo; correva attorno al padre lungo il tragitto verso il suo primo giorno.
Grazie alla sua arguzia e al fatto che era molto preciso nei modi, fece presto a legare e molto spesso lo si vedeva scorrazzare per il paese con un amico e una piccola palla da tennis consunta.
Lorenzo aveva trovato nella biblioteca un rifugio; aveva iniziato a lavorare su una nuova catalogazione dei volumi, e a contattare i paesani, anche dei paesi limitrofi, per raccogliere nuovi volumi. Per molti ragazzi del paese, che dovevano spostarsi per frequentare scuole superiori fuori, era un punto fermo per poter studiare fino a tardi e Lorenzo, un gran punto di riferimento per i consigli di lettura. Ormai si sentiva di conoscere quei ragazzi, di anticiparne quasi i loro irruenti pensieri carichi di emozioni impetuose e voglia di storie.
Durante l’inverno per il padre e il figlio, la piccola casa diventò luogo di letarghi e di racconti della buonanotte, di pierino e il lupo e di poeti russi, finché Giacomo non cadeva esausto tra le coperte. Lorenzo studiava testi di greci classici fino a notte fonda, sottolineava libri di storia e sociologia, divorava volumi di astronomia. Arricchiva tutto con annotazioni personali in biglietti accuratamente scritti nelle pagine dei libri. La luce sulla sua piccola scrivania in camera si spegneva nel cuore della notte, quando dal paese proveniva solo l’esile respiro delle fronde.
Il Picci nei pomeriggi assolati di primavera non si stancava mai di esplorare il paese, di immaginarsi gli interni delle case e di perdersi tra i campi appena fuori la zona abitata. Disegnava lucertole e salamandre, raccoglieva foglie e cercava di dare una propria distinzione a tutti i tipi di coleottero che trovava tra i viottoli ciottolosi.
Lì i fantasmi non c’erano più e la sua testa frullava, fino a volare in alto tra le nuvole che lo rincorrevano.
Ormai il paese era la loro casa. Le persone parlavano tra di loro, Lorenzo si perdeva tra i capannelli del mercato del sabato e aveva pure creato un piccolo orto nel retro della casa, i vicini erano pazienti con Giacomo, provavano un sincero affetto per quel bambino dai capelli arruffati che aveva visto per davvero le persone senza pupille. Gli davano sempre un dolce, un frutto, una tazza di cioccolato. Così lui riusciva a vedere le case anche da dentro, le ricomponeva tutte insieme come a crearne una grande e unica, labirintica, che si disperdeva in una moltitudine di scale.