Scordata
Domenica sera, Milano che lentamente si spegne, cala il sipario, torno a casa nel cielo rosa arancio rigato di rondini.
Torno a casa con zero pensieri, devo solo cucinarmi qualcosa. E godermi la serata.
Le chiavi nella toppa, il vicino di sopra che sbraita, quello affianco che gioca alla play. Toppa, chiavi, il cane che corre avanti e indietro in corridoio, entro e mi annuncio: sono io.
Tanto ci sono solo io, e il cane.
Due grattini e prendo il guinzaglio, corre a bere – è una cagna abitudinaria, prima di uscire va sempre a bere alla sua ciotola, lasciando poi la scia delle goccioline nel suo percorso – torna e infila la testolina nel guinzaglio a strozzo.
Fuori la città di cemento ancora ribolle, al chiringuito all’angolo c’è chi è al secondo mojito, sul cofano di una Peugeot due che limonano, io, le mie infradito e quattrozampe dribbliamo gli scarafaggi volanti di città studi: ci sono più scarafaggi che studenti. Ci sono, in compenso, più zanzare che scarafaggi.
Vorrei farmi una doccia, sono sudata e stanca, ma occorre deliberare bene su le tempistiche e le modalità più piacevoli per fare la doccia: prima di mangiare? Dopo?
Mi accendo una sigaretta e ci penso, sa di asfalto molle. Pare proprio di fumarsi l’asfalto e le polveri sottili. Potrei farmi una canna dopo la doccia, ma prima di mangiare. Così mi viene fame.
No, forse meglio mangiare e aprire una birretta, poi doccia e canna sul divano. Se mi addormento secca potrei riuscire a dormire 8 ore filate. Sì, ma meglio poi buttarsi a letto.
Toppa, chiavi, slego il cane, il frigo è vuoto, devo fare la spesa, ma prima riordino, faccio partire la lavastoviglie così domattina avrò già tutto bello pulito, innaffio l’orchidea che vive in bagno. Tanto carina, quanto inutile. Chiusa in bagno. Se la passa bene però.
Tocca bagnare anche le altre piante: il basilico in cucina c’ha le foglie mitragliate, c’è un qualche parassita che si frappone tra me e il pesto fatto a mano col pestello. Parassita stronzo, perché invisibile. Controllo le foglie tutte le sere e non trovo mai bruchi, ma la mattina seguente soccombe un’altra foglia. Le piante di gelsomino, invece, resistono, i fiori ormai sono andati, ma loro continuano a buttare fuori nuovi rami verdi brillanti. A settembre saranno già il doppio di quello che erano in primavera: il falso gelsomino è incontenibile, fa le cose in grande, si espone, si lancia senza mezze misure, forse rivendica la dignità che quel nome infame gli ha privato. Falso. E fa fiori bianchi profumati. Falso. E cresce bene. Falso. Controllo il cellulare.
Do la pappa al cane e ai pesci.
Il lievito madre, tocca dargli una rinfrescata, acqua farina e un cucchiaino di zucchero, che a naso sembra stare virando all’acido. È bello parlare con la pasta madre, domani faccio il pane. A volte mi pare di parlare con Valentina Nappi tanto è porno sta pasta madre. Domani faccio il pane e non mi hai chiamato. Ma tanto io non ci penso più. Non ci penso mai.
Sono le 23.00, il tempo di fare la doccia e uscire nuovamente per andare al supermercato: una cassa aperta, io e tre studenti persi tra le corsie. Ciliegie, häagen-dazs al caramello, patatine in sacchetto, arachidi salate, una busta di insalata, le barrette di Ovomaltina e due Moretti da 66.
Toppa, chiavi, il cane corre avanti e indietro in corridoio e mi fa le feste come se mancassi da ore. Due grattini sulla testa, sistemo la spesa, accendo un’altra sigaretta, mi metto il pigiama, si è fatta un certa.
Leggo? Leggo.
Guardo un film in lingua? Sì, dai così mi addormento.
E la cannetta? Me ne ero scordata. Come la chitarra quando è scordata, che sembra sbronza, ma tanto sbronza che biascica. Scordata. Non ho cenato alla fine, però ho curato l’ecosistema casalingo, stanno tutti bene, mi sono presa cura degli altri e stanno tutti bene. Un saluto festoso a questo nuovo lunedì. Stanno tutti molto bene. E anche io sto molto bene finché si tratta di accudire gli altri. Perché sono molto competente in materia, è proprio una cosa che mi viene bene e poi tutti sono contenti. Ma mi passa la fame e non cucino poi nulla per me, perché non ne vale la pena, però, se vuoi, ti posso fare la parmigiana con le melanzane fritte anche con 40 gradi. Se preferisci cucino i fiori di zucca che sono proprio belli quando escono dorati in tempura, piccoli capolavori di perfezione. Allora avrò placato la tua fame e potrò mangiare anch’io, ma solo dopo essermi assicurata che sei sazio, che hai apprezzato la cena. Altrimenti sarebbe difficile per me nutrirmi. Non lo meriterei. Cioè proprio non riuscirei a trangugiare nemmeno un pezzetto di pane e resterei in piedi, retta solamente dalla forza della colpa di non essere abbastanza. O di essere troppo. Di non essere nella misura giusta sufficiente ad andar bene per te. Retta solamente dalla forza del non essere quella che volevi. Sono le 2.00 del mattino, sono sdraiata davanti al ventilatore con una birra in mano, una canna nell’altra e non riesco a dormire. Ma tanto io non ci penso più. Non ci penso mai.