Scusa e getta
L'ultima volta che mi sono lasciato con una ragazza, stavamo insieme da tre mesi. Qualcuno mi ha detto che poteva succedere, dato che stavamo insieme da parecchio.
Tre mesi. Io in tre mesi non sono riuscito a capire di preciso dove fosse la segreteria dell'università e ci andavo circa tutti i giorni, figuriamoci riuscire a conoscere nel profondo una persona con cui ti frequenti una volta a settimana.
Ma ora è così: le relazioni hanno vita breve e vengono considerate alla stregua di beni di consumo, come i telefoni, i frigoriferi, i vestiti, le amicizie, i lavori part-time sottopagati, le feste, le ferie, i progetti, le passioni.
Riuscire a seguire un progetto, pagato o meno, per più di un anno viene spesso visto come un successo, il raggiungimento di un traguardo importante, il frutto di duro lavoro. Riuscire a reinventarsi continuamente e diventare mutevoli (che non significa necessariamente sfuggenti) è un gesto di quotidiano eroismo, di lotta contro la banalità e di dimostrazione di innate capacità di resilienza e di accettazione.
Sì, ma poi?
Uno, due, tre, cinque, dieci, venti, cinquanta, ogni giorno salta fuori un progetto nuovo, un evento inaspettato, un canale da seguire, una canzone da ascoltare, una persona che crediamo ci svolterà la vita, ma il giorno dopo ce ne saremo già dimenticati. Ho paura. Ho paura che la velocità che caratterizza la nostra generazione prima o poi diventi una scusa per dimenticarci di come siano i rapporti e le cose che ci circondano. Ho paura che tutto si trasformi in un enorme usa-e-getta in cui siamo noi a diventare i nostri stessi beni di consumo.
Spero che prima o poi potrò dire che sono anni che sto con la stessa, che faccio la radio, che lavoro allo stesso festival. Che sono anni che suono con gli stessi stronzi, che esco con i miei amici di sempre.
E non è chiusura mentale, è capacità di reinventarsi nel piccolo.
Non è monotonia, è maturità.