Senso unico
Qualche sera fa a Piacenza.
Sto andando a fare serata, ma prima devo passare in un locale a consegnare del materiale per il Festival.
La via è un lunghissimo senso unico che parte dal pieno centro, attraversa radialmente la città e poi costeggia le mura per una distanza talmente ampia che, prima di arrivare alla prima rotonda e tornare indietro, si perde almeno un quarto d'ora. Tutti i parcheggi sono occupati, compresi quelli a pagamento, e gli unici spazi vuoti sono delimitati dai passi carrai.
Quando guido sono molto ligio al codice della strada: non uso il telefono, faccio attraversare le persone sulle strisce, non suono mai il clacson quando qualcuno non mi dà la precedenza e non odio per partito preso i ciclisti. Però stasera sono proprio di fretta e non mi sembra ci siano molte alternative.
Ho sempre avuto un po' di angoscia all'idea di parcheggiare davanti ad un passo carraio, perché poi magari qualcuno sta male e lo devono accompagnare all'ospedale e se muore è pure colpa mia, quindi di norma non mi passerebbe nemmeno per l’anticamera del cervello di fare una cosa del genere.
Trovo il simbolo di un passo carraio all'ingresso di uno studio tecnico: mi rispondo che probabilmente i geometri al sabato sera alle otto non lavorano. Faccio una manovra alla milanese e, con un parcheggio ad S, incastro la macchina tra la vetrina e un panettone stradale.
Mentre sto scendendo, un vecchio dalla finestra del primo piano mi grida qualcosa in un dialetto che non capisco, ma con un tono che sembra molto incazzato. Gli chiedo scusa, gli dico che ha ragione, ma che devo fare solo una consegna velocissima in un posto che è a venti metri da lì e glielo indico pure con il dito, da quanto è vicino.
Lui niente, continua ad urlare. Capisco che faccio prima a farlo che a spiegarglielo e vado a consegnare il materiale.
- Vuoi fermarti cinque minuti a bere una cosa?
- No, guarda, grazie mille, ma devo scappare che ho la macchina in un posto dove non dovrei.
- Dove?
- Lì in fondo.
- Sotto alla casa del siciliano matto?
- Suppongo di sì.
- Occhio a quello lì.
- Perché, è uno che chiama le guardie?
- No, se ti fermi troppo ti taglia le gomme.
Capisco che, per quanto sia una possibilità remota, è il caso di andarmene. Torno indietro e, mentre salgo in macchina il più velocemente possibile, con la coda dell'occhio vedo la porta del palazzo aperta, con il vecchio sull'uscio e una cosa tra le mani che non riconosco bene, ma che ha tutta l'aria di essere un coltello da carne.
Parto a cannella senza voltarmi e mi chiedo se a volte certi episodi li viva veramente.