Senza data pt.1
Martedì pomeriggio
Sul terreno annerito dal fuoco
Stuzzicadenti sparpagliati
lasciati cadere da un bambino viziato
stufo di pungersi la punta delle dita
non trovando più sorprendente la trasparenza della pelle morta in superficie.
Ci siamo disfati delle lenti d’ingrandimento
Dei vasetti in plexiglass per studiare piccole forme di vita.
La luce del sole la subiamo solo sul nostro capo
Perché basta un passo per eliminare un’esistenza.
La dissoluzione generata dalla frustrazione
A cosa ci ha portato?
Alla capocchia carbonizzata di un fiammifero
una lingua di gas che danza sui pochi bastoncini di legno sopravvissuti alle fiamme
nudi lì a insultare ciò che attorno a loro è bruciato.
Al rumore di un tronco che si spezza
e il grattare di un accendino per congedarsi verso ciò che di verde rimane.
Al passaggio di ruote e passi
sopra foglie secche e rami
Sottofondo di cartongesso preso a pugni
la danza di richiamo dell’odio covato
E la benedizione all’egoismo che si tramuta
nell’unica forma di sopravvivenza possibile.
Lunedì mattina
Inconscio: una candela lasciata accesa
consumata sino a cancellare la cera.
Un cerchio nero sopra il piano della cucina
scavato nel compensato dal calore.
La spugna viene strizzata sopra il lavello
rigettando lo sporco tolto per cancellare le tracce.
Ubriaco: il fornello attivo durante la notte
gli avanzi della cena rattrappiti
tizzoni sfrigolanti che urlano di fumo.
Un’allarme suona svegliando i vicini
E la padella è da buttare
E le finestra rimarranno aperte tutto il giorno.
Eccitato: a menarsi il cazzo si perde il conto del tempo
quando la moka è sul fuoco
sciogliendo la guarnizione
Sibilando dentro la cappa accesa.
Un’altro oggetto da buttare
come il tuo sperma
E l’acqua fredda resta l’unico palliativo
per non risolvere nulla.
Conscio: ferite aperte
la carne dilaniata che con affanno pulsa
Accusando il vento.
Ferite lasciate a imputridire
gemono sul terreno cosparso di cenere
Dove già inizia a germogliare nuovo materiale infiammabile.
Quando ero bambino e andavo ancora all’asilo, insieme a un mio compagno di scuola, mi impegnai a consumare tutte le unghia che avevo per scoprire cosa la corteccia di un albero cela. Trovammo il corpo spoglio e chiaro, in tutto simile all’osso privato della carne che lo avvolge, ammorbidito dalla resina che ci incollava le dita.
Gli alberi piangono quando qualcuno li rovina, mi dissero poi
una volta terminato il gioco.
Ed è vero, piangono
Posso sentirli adesso, in questo mattino impietoso di un lunedì qualsiasi
Mentre le mie unghie ricrescono e le fiamme
non smettono di ardere.