Senza data pt.2
Giovedì sera
Il legame fra le cose si ramifica
Sino a intaccare la pianta dei piedi
a prenderci per le palle
a mozzarci il respiro.
Le cicatrici lasciate dall’adolescenza,
una faccia butterata
le mutande gettate per l’usura
la colpa.
Quanti profili falsi hai cancellato?
Se ci si potesse limitare alla soluzione di un singolo problema, tu
quale sceglieresti?
Ma non riesci a cambiare
Come questo terreno che mostra il fianco abusato,
Aumenta la densità sfruttata, nient’altro.
Continui a infierire a volto coperto.
Senza una sola certezza di un futuro possibile
Saccheggi il presente.
Ed eccola qua, questa terra
questo volto
Testimonianze di una vergogna
Posticipata al domani.
Sabato
Nomadi anche qui
non c’è riposo durante il giorno per il gufo
Trova riparo tra il rumore stipato fra i rami di un giovane tiglio
piantato una manciata di anni fa nel giardino di una casa vicino all’autostrada.
Non svegliano più i bambini all’ora del lupo
senza gli ululati provenienti dai margini del bosco.
Il branco si è spinto sino alle pendici dei monti
per piangere chi è morto di freddo
i corpi schiacciati dal goffo tonfo di un pino tagliato alla base.
Hanno smesso di sparare
su alla foresta.
I cervi non temono più il foro di un proiettile
lo squarcio che mette in allarme
Ma le profonde tracce dei cingolati
la scia che si lascia dietro un tronco senza vita
E il non trovare un posto dove riposare
dove tornare a prosperare.
Non trovano di che nutrirsi le linci
I roditori si sono trasferiti nelle fogne della città vicina
a sopravvivere degli scarti dei ristoranti.
Il corpo del felino si trascina affamato,
graffiato dalle schegge dei rami
che puntano le loro estremità verso il cielo
trattenendo una bestemmia.
Sciami di moscerini vanno a caccia guidati dall’umidità
si riproducono nelle condutture dell’aria
fra le perdite dei tubi idraulici
nel punto in cui il nostro respiro si condensa lungo i bordi della finestra.
Gli hanno tolto anche le piante.
E una vespa sbatte dura contro il vetro
Ottusa nel tentare di raggiungere i fiori che vi muoiono dietro.
Se solo lo sapesse, magari ne sarebbe orgoglioso
Ma l’orso non è vanesio
non gli interessa finire fra le notizie di cronaca nazionale
È solo sceso in paese in cerca di una nuova sistemazione
È solo fuggito dagli alberi che continuano a bruciare
Non si aspettava certo una decina di aghi conficcati nella schiena
Non sa nemmeno come ci è finito disteso a terra
Non potrà proprio ricordarselo.
Futuro prossimo
Disorientati ci muoviamo verso il tempo a venire
I brandelli dei vestiti incollati alla pelle sudata
Disidratati sotto un sole impietoso
Facciamo ciò che si è sempre fatto
Andiamo avanti con i pochi mezzi offerti.
Non solo di acqua e di cibo, ma
di un lavoro disperato, privati delle opportunità di trovarne un altro
Privati del tempo per migliorare e migliorarci.
Non solo di indumenti nuovi e di riposo costante, ma
del contatto con gli altri, privati del sesso, privati dei baci
Toglieremo il saluto, silenzieremo la parola.
Continuiamo a sudare, contando ogni singolo respiro.
È la stessa cosa di legare tra loro delle travi di legno per poi provare a spezzarle
Solo prendendole singolarmente puoi romperle
Così come gli alberi, eliminandone uno alla volta.
Restano quelli piegati dalle piene dei fiumi
dai violenti acquazzoni
che divisi non riescono ad arginare.
E l’uomo, beh
l’uomo ci pensa da solo a spezzarsi.
Non costa grande fatica a chi è bramoso di potere
disperdere un gruppo
e portare al cedimento il singolo
Perché pochi
o nessuno si alzerà a difenderlo.
Così
in fondo al percorso su cui arranchiamo
Vediamo un eremo splendente,
che ci invita con la sua promessa di benessere
Sotto cui c’è una città dove la rivolta è stata sedata
e il territorio circostante puzza di cassonetti bruciati
E noi andremo a unirci alle file
di chi non ha altra possibilità che chiudersi in sé stesso
Per paura di perdere quel poco che ci è stato concesso.