Settepiani
Lo vedo passare tutta la giornata sul divano, cambia posizione di rado, non alza lo sguardo. La televisione è accesa, ne scorgo i riflessi, non riesco a inquadrare lo schermo ma posso immaginare lo sfondo pixelato, la definizione ridotta di Netflix o YouTube. Lui però fissa senza espressione lo schermo più piccolo del cellulare, gli occhi apatici ingigantiti dalle lenti del mio binocolo, le spalle ingobbite; la luce azzurrina che illumina il volto dal basso è inconfondibile: la versione moderna del blair witch project. Fuori non c’è una strega ma un virus, e le alternative non sono molte. La pandemia ci ha sottratto dal tessuto connettivo/competitivo sociale, ci ha costretti (e quindi giustificati) alla nullafacenza, alla pigrizia casalinga, all’assenza di obiettivi: aziendali, sociali, esistenziali. È solamente un ritorno a una condizione ontologicamente mai abbandonata, eppure la riscopriamo con sorpresa, tanto eravamo impegnati a fingere di abitare in un mondo altro, dove le nostre azioni avevano un senso; il tempo era sempre troppo poco e gli eventi troppi. Ora siamo liberi dalla FOMO anche nella capitale: a Berlino hanno chiuso i club, i musei, annullato i concerti degli Ulver, rimandato gli europei di calcio. L’intrattenimento sportivo è ridotto ai minimi termini, lo streaming va come può (in una città dove la banda larga sembra ancora il futuro), persino le consegne arrivano in ritardo: l’essere umano è rimasto solo con la propria anedonia. Lo immagino alternare immagini di profili social deludenti e notizie sulla pandemia in corso, la crisi umanitaria, economica, ospedaliera, spulciare i dati della Germania e degli altri paesi, controllare le classifiche degli infettati e dei morti, studiare controvoglia le percentuali. La crescita esponenziale degli USA, la Spagna ha superato l’Italia, come mai la Germania ha così pochi morti, i polacchi che fanno la fila al confine, le direttive della Merkel, è in quarantena anche lei, a Neukölln è tutto come prima. I commenti si ripetono stanchi giorno dopo giorno, senza neanche più la freschezza della novità, la tensione da catastrofe incombente. Le notizie allarmanti non sono più tali dopo qualche settimana, e non riescono neanche a sostituire la dose quotidiana di infotainment sportivo-politico. Persino le primarie americane hanno perso di interesse, non ci sono più complicati calcoli elettorali da fare né complotti machiavellici da ipotizzare. Insofferenza senza direzione. È tutto lì in quei corpi portati via da Bergamo nei camion dei militari, una scena già vista in non so quanti film per risultare davvero impressionante a qualche migliaia di km di distanza, come se non fossimo nello stesso continente, come se non appartenessimo alla stessa società, o specie. I viaggi sono annullati, le vacanze, il lavoro, ma forse la settimana prossima si torna in ufficio. Speriamo, dai. Il suo sguardo annoiato mi dà la nausea, abbasso il binocolo, perlustro le finestre di sette piani fin troppo simili, arrivo fino al marciapiede, dove il corpo del senzatetto nascosto nell’androne è diventato bluastro. Chissà se rientrerà nelle statistiche.