Sfasciacarrozze
Quando penso ai prossimi anni e prendo in considerazione le cose peggiori che possono capitarmi, la prima cosa che mi viene in mente, da un po’ di tempo, è la morte di uno dei miei due genitori. I miei sono vecchi e questa cosa non è modificabile né ignorabile.
Non credo, non ci metterei la mano sul fuoco ecco, che questo pensiero sia legato alla semplice perdita di una delle due persone più importanti della mia vita. La vera angoscia che provo è sapere che l’altro o l’altra rimanga solo. O sola.
Nel frattempo, dal van che ci porta da Bari a Napoli, vedo uno sfasciacarrozze perso nel nulla. La casualità di questa cosa fa gioco sui pensieri disfattisti e malinconici che provo. Sto un po’ peggio di come stavo prima. E ho sonno: è pomeriggio, dopo pranzo, viaggiamo scomodi. Non ne torna una e la malinconia e il disfattismo vengono inquinati da una silenziosa forma di rabbia: per il tempo trascorso a viaggiare costantemente, per la cattiva postura, la cattiva alimentazione, le cattive abitudini del dover affrontare il lavoro anche quando non vorrei. Credo sia insito nella natura stessa del lavoro, non posso farci niente.
Non mi piace molto il mio lavoro ultimamente. Vorrei fare altro anche se non è vero. Non mi piace sentirmi stanco del mio lavoro e delle cose che lo riguardano, delle scelte che seguono percorsi troppo complicati per il mio serbatoio. Dopo 18 mesi trascorsi a far guerriglia, pensiero per pensiero, quando chiudo la porta di casa o esco dall’ufficio di Bologna sto sempre un po’ meglio di prima. Vorrei uscire dal furgone molto scomodo che ci sta portando a Napoli ma ovviamente non posso, quindi provo a mollare un po’ la mandibola invece di serrarla, provo a pensare alla Norvegia, al viaggio da prenotare. Provo a pensare al tennis, che non gioco da un po’.
Mio babbo ha guidato l’autobus per anni, io ogni tanto penso che avrei fatto volentieri a cambio con quelle beate ore di solitudine. So ormai che la mia solitudine va contenuta militarmente: è ok a giuste dosi, se resto troppo solo poi finisco con lo sragionare, prendere solo il lato peggiore dei pensieri. Mi ritrovo a fare una serie di percorsi che in verità non gradisco.
Mamma e papà prima o poi moriranno e questo è un dato. Il paventarsi della possibilità si fa più chiaro anche dentro di loro ed è inevitabile. Mamma non ha nemmeno l’auto e non sa stare dietro alle cose delle banche. Papà due settimane fa si lamentava perché mamma gli ha fatto mettere i pantaloni lunghi e aveva caldo. Gli ho detto che poteva anche metterseli corti, basterebbe scegliere da soli, sapere dove stanno le cose. Sono la gioia delle coppie eteronormate a struttura patriarcale, sono gente a posto che ha fatto solo del bene nella propria vita a cui credo gli roda il culo, legittimamente, di non essere più sufficientemente veloci come un tempo.
Quindi moriranno, come tutti, prima uno e poi l’altra o viceversa e io ci dovrò fare i conti. Ci farà i conti anche Andrea, a cui pesa parecchio che si stiano rincoglionendo e che si arrivi al punto in cui non saranno più autonomi. L’altro giorno ho detto a mia madre che, se non fosse stata attenta con la cura per l’osteopatia, l’avrei presa per la collottola e buttata giù dal quarto piano dove abitano. Con lei, la minaccia e lo spavento, sono le uniche armi che funzionano. Da quando ho scoperto questa tattica conduco una battaglia ambientata in qualcosa di simile ad un hyper-cube di pensieri senza causa e senza effetto logici. Un labirinto di paure e irrazionalità che si presenta occasionalmente ma sempre ben congegnato. La cosa mi stanca, come è giusto che sia il ruolo della madre che invecchia e del secondo figlio che -mollati gli ormeggi- poi s’incazza. Mio babbo almeno, rispetto ad un tempo, è molto meno nervoso e iracondo, aspetto positivo che viene bilanciato da moti d’ansia anticipatoria sotto ogni aspetto della vita. Gli avevo chiesto se nella sua auto avesse l’adattatore da accendisigari per caricare il telefono, cosa che non aveva -legittimamente, perché dove cazzo va, cosa cazzo se ne fa- per poi trovarlo in casa pochi giorni dopo. È così: non gli puoi dire granché a mio babbo, a meno di non esplicitare in tutte le forme e con tutte le formule conosciute che non c’è niente di grave in corso. Insieme assumono una funzionalità. Da soli me li immagino come la pena peggiore che possano provare e che possano infliggermi.
Lo dico egoisticamente perché sennò poi muoio anche io e non ho ancora voglia che questo succeda. Dico una cosa per cui magari Arianna sarà in disaccordo, e così molti altri: sono un sostenitore dell’eutanasia in senso molto ampio. Se a più di settanta anni perdi la persona con cui hai costruito una vita, non riesci ad essere sufficientemente autonomo, sviluppi una depressione. Beh, chissenefrega, è giusto ammazzarsi. Penso anche che se Dio esiste, o per chi ci crede, questo è un caso di esenzione dalle colpe che la religione imputa ai suicidi. È il modo che la razionalità ha per dire: cari miei, preferivo prima e non c’è alcuna soluzione nel tempo disponibile.
Il van fa una curva un po’ azzardata in autostrada, la sensazione è quella che si stia correndo un po’ troppo. Albi fa una faccia buffa come se il collo gli si fosse collocato altrove e mi scappa da ridere mentre lo sfasciacarrozze è già lontano.