A volte, senza cercarle, le risposte si trovano.
Io le ho trovate in una canzone che ciclicamente si ripresenta nella mia vita e che sempre ne farà parte, come una colonna sonora segreta e intima.
So long, Marianne
It’s time we began
to laugh and cry
and cry and laugh
about it all again.
Uno dei ricordi più nitidi che ho della mia infanzia è l’immagine della mia mamma in casa, con le sue maglie larghe e la fascia in testa, che ascolta Leonard Cohen mentre cucina o stende il bucato. Mi ricordo bene una sera che mi stava mettendo a letto, nella nostra vecchia casa, e sentivo in lontananza le note di Leonard Cohen dalla cucina. Devo averle detto che la canzone mi piaceva, e lei, chiudendo le persiane, mi ha risposto: “guarda, io quando ero giovane e mi venivano le mestruazioni, ascoltavo sempre Leonard Cohen. Mi fa sentire più tranquilla”.
Come over to the window
my little darling
I’d like to try to read your palm.
I used to think I was some kind of gipsy boy
Before I let you take me home.
Berlino, 18 giugno 2017. Ai primi approcci con un ragazzo tedesco. Siamo in camera sua e i baci si moltiplicano, mentre un pensiero si fa strada nella mia testa, diventando sempre più assordante, come il fischio di un treno che si avvicina. “Glielo devo dire, gli devo dire che sarebbe la mia prima volta”. Glielo dico. Ci rivestiamo a metà e mi raccomanda di prendermi tutto il tempo necessario. Si accende una sigaretta, io vado in bagno e quando torno decidiamo di mettere un po’ di musica. Lascio a lui la scelta. Mette So long, Marianne di Leonard Cohen e io mi commuovo. Gli racconto la storia della mia mamma e lui mi narra la sua vita, il suo anno in Nuova Zelanda, mi parla anche lui della sua mamma, di amori, di città tedesche che non conosco. E io gli descrivo come la vita mi aveva portato a Berlino.
We met when we were almost young
deep in the green lilac park.
You held on to me like I was a crucifix
as we went kneeling through the dark.
Di lì a poco avrei provato sulla mia pelle cosa significa il verbo hineinsteigern, lasciarsi prendere dal sentimento, innamorarsi ciecamente di una persona. E in una metropoli cui ancora non ero abituata, pullulante di gente diversa e di sorrisi, mi sono improvvisamente sentita terribilmente abbandonata. Verso le 2 di una notte di lacrime, decido di scrivere una e-mail alla mia mamma raccontandole tutto, e le scrivo anche di Leonard Cohen. È una poesia immortale, mi risponde lei.
Anche adesso sono quasi le 2 ed è una notte fragile. La mia nonna è morta da poco, avrebbe compiuto 89 anni qualche giorno fa. E io mi sono innamorata di un’altra persona e ho le mestruazioni. Non voglio dormire, apro Facebook. Trovo un articolo su Leonard e Marianne che racconta la loro storia d’amore. Lo leggo d’un fiato mentre sento gli occhi pizzicare. Decido di ascoltare So long, Marianne e poco dopo l’autoplay di Youtube mi propone Take this waltz. E qui il pensiero va al mio papà, che ama leggere. E quando un libro gli piace tanto, decide di leggere tutti i libri dello stesso autore o autrice, e non solo il libro in sé, ma anche introduzione, prefazione, postfazione, nota critica, nota alla traduzione, biografia, indice. E poi ne parla, ne parla a cena, a colazione, viene in camera mia e mi dice “devo assolutamente leggerti questo passo, la mia mamma mi leggeva sempre i libri a voce alta!”. Ecco, un giorno era arrivato il periodo di Simenon. Dalla sua biografia aveva scoperto che a Georges piaceva ballare il Tennesee Waltz con la sua figlia ancora piccola, prendendola in braccio. All’epoca sia io che mia sorella eravamo già troppo grandi per essere prese in braccio, ma il mio papà a volte mi invitava comunque per un valzer in cucina dopo aver trovato un vecchio cd di Joan Baez con una versione del Tennesee Waltz. Leonard Cohen questa non l’ha mai cantata, ma ha scritto un altro valzer da ballare fino alla fine dell’amore, Take this waltz.
Well you know that I love to live with you
but you make me forget so very much.
I forget to pray for the angels
and then the angels forget to pray for us.
Sento allora maturare in me l’urgenza di scrivere, di far sapere ai miei genitori come sto e di questo nuovo amore. E forse è questa l’unica risposta alle tante domande che mi tengono sveglia in un vortice di sensazioni, immagini e ricordi.
Insieme a tutto il carico di dolore, conoscere la morte da vicino mi ha portato una necessità. Ho capito l’importanza dei legami che esistono tra noi e chi ci sta attorno, nella nostra famiglia o tra i nostri amici, e sto imparando quanto sia importante stringere sempre più questi nodi che non possiamo pettinare. Per me, tessere questi fili significa esporsi, aprire il proprio cuore e raccontare con sincerità. Non si può sopprimere il dolore, si deve coltivare. Solo così si potrà trasformare in una pianta ricca di linfa vitale, i cui rami si intrecciano e si innalzano.
Your letters they all say that you're beside me now.
Then why do I feel alone?
I'm standing on a ledge and your fine spider web
is fastening my ankle to a stone.
È il 2009 e sono in piazza san Marco, nella nostra Venezia, con la mia famiglia. È agosto, è una bella serata estiva, di quelle che devi metterti uno scialle per proteggerti dalla brezza leggera e fresca. Il concerto di Leonard Cohen è appena finito. Decidiamo di andare sotto il palco a vedere se Leonard scende e ci firma un autografo, o magari solo per vederlo da più vicino. Incontro una mia amica con il suo papà, e ridendo scopriamo che avevamo avuto lo stesso pensiero. Leonard si fa attendere come una star, ma alla fine lo vediamo scendere, scortato dalle guardie del corpo. Sembra ignorare il pubblico, ma facciamo un po’ di casino. Si gira verso di noi e sorride, ci saluta con la mano e poi si avvia nella direzione opposta. Ciao Leonard. Ancora non sapevo quante volte la tua poesia mi avrebbe presa per mano. Ciao nonna, so long.