Chissà se si tratta solo di una questione di abitudine. Imparare a dormire con i lampi quando hai passato vent’anni in una stanza senza finestre. Andare a letto con il cielo terso e sentire la pioggia arrivare nel tempo che impieghi a fumarti l’ultima sigaretta. Concepire una città talmente grande che, due quartieri più a ovest, magari il temporale è finito due ore prima, e adesso è la luna e non i fulmini a illuminare la sera.
Roma è una città di solitudini e di folla, di fretta e tempi sospesi. A Roma non puoi abituarti, ti ci devi adeguare, rassegnare. Non puoi capirla, però puoi capirti tu. Una stanza con una finestra sugli incroci meccanici della tangenziale est. La Togliatti che ti si stende davanti infinita e geometrica. La tranquillità di una traversa lontana dal traffico. A Roma il tempo scorre diversamente, e conta di più. Quello che puoi fare durante il giorno, quello che puoi fare in due ore, quello che puoi fare in una città che ne conta mille.
Chissà dove finisce l’attenzione e inizia l’abitudine. Sapere se prende il caffè amaro, o con quanti cucchiaini di zucchero. Se l’acqua la beve naturale o frizzante. Se la mattina si sveglia e si alza subito dal letto, oppure preferisce rimanere lì ad aspettare che inizi la giornata. Se confonde il rumore dei tuoni con quello del traffico per non pensare che domani pioverà, o se preferisce non pensarci e far passare la notte.
A Roma le solitudini forse tendono a incontrarsi. Pochi elementi in comune: la nostalgia -di casa, del mare, della calma-, la paura, il desiderio. L’importanza delle piccole cose: il silenzio, il conoscersi. Partenze continue e continui ritorni, un ondeggiare infinito fra restare o andarsene. Non salutarsi, cercarsi, aspettarsi.
Chissà quanto ci vuole a conoscere i gesti di qualcun altro, o i tuoi. Gli occhi spalancati e il finestrino abbassato quando stai per addormentarti alla guida. Le dita che tamburellano sulla tua schiena quando non sa cosa fare. Le sigarette che giri per nervosismo, quelle che ti chiede per spezzare il silenzio.
L’incrocio tra via Prenestina e piazza Cabellini, il disegno della tangenziale sopra la testa, con quel via vai continuo e ordinato — così sembra dal basso, che forse dal basso tante cose sembrano quello che non sono, che non puoi vedere -, un angolo che sembra abbandonato, nel traffico che si staglia sui palazzoni neri dallo smog.
Roma la città eterna, e tu di eterno pensavi di non avere nulla. Roma la città che ti scappa davanti, e tu da lei volevi solo scappare.