Se c’è una cosa che non ti perdono, è non avermi detto che succede dopo.
Deposte le armi, accettata la sconfitta, bendate le ferite. Mi hai insegnato a non soccombere alla guerra, ma non a vivere in tempo di pace.
C’è un pezzo di vita che ho imparato bene, prima degli altri, meglio degli altri. Ho la corazza più robusta, le lame più affilate. So evitare un nemico, quando posso; so colpirlo in pieno petto, quando serve.
Ma quello che succede quando si toglie l’armatura, proprio non lo so.
E non te lo perdono. Di non avermi insegnato a ridere, se non nonostante qualcosa, di non avermi insegnato ad abbassare la guardia.
Le armature, dopo un po’, arrugginiscono e continuare a muoversi diventa complicato, faticoso. Ma io non so stare senza, non posso spogliarmi della mia, nemmeno per il tempo necessario a oliare le giunture. E quindi sono costretta a tenermela addosso, la mia armatura, anche se pesa e taglia la pelle dove è troppo morbida, dove il callo non riesco proprio a lasciarlo formare.
Al tavolo della cucina si consumavano le nostre lezioni di strategia, la sera tardi, con i piatti in fila accanto al lavello e la lampadina a basso consumo che faticava a scaldarsi. Me ne stavo seduta a gambe incrociate. Sii sempre indipendente, sii sempre gentile, i risultati si guadagnano con il sacrificio, sei più forte di quello che pensi. Erano questi l’elmo, la cotta, i gambali che mi mettevi addosso. E io mi son lasciata proteggere, mi sono nascosta dietro il ferro, convinta che, prima o poi, mi avresti insegnato ad indossare panni più leggeri, vestiti della festa, forse.
Ma non c’è stato il tempo. Oppure il punto è che l’armatura non sapevi togliertela più nemmeno tu. Ci sono ferite che sanguinano più rapidamente, se ciò che le ha provocate viene rimosso. Forse funzionava così anche per te.
Se oggi spiegassi una grossa mappa con disegnata la mia vita sopra, scoprirei che, alla fine, i conflitti sono sedati. Che qualche sacca di resistenza fa capolino qui o lì ogni tanto, ma senza resistenza non ci sarebbe margine di miglioramento. Quindi le mie frange ribelli le coccolo come si fa con gli eroi sopravvissuti. Ho stretto la mano ai nemici; alcuni li ho fatti a pezzi, senza poter fare a meno di provare pietà per loro; ho ritirato le truppe sui fronti destinati a cedere, prima che cedessero. Ho firmato armistizi. Perché le battaglie mi hai insegnato ad iniziarle, ma anche a concluderle.
Me ne sto al tavolo della cucina, con le gambe incrociate. E mi domando cosa diresti. Mi domando cosa diresti ogni volta che qualcosa di nuovo accade, ogni volta che resto sospesa in un pomeriggio di sole, in cui non so cosa fare. I pomeriggi di sole sono fatti per la pace. E io la pace non la so fare.