Tu sorridi e goditi la musica
All’altro capo del telefono c’è mia madre in lacrime.
- Hai già contattato le onoranze funebri?
- No.
- Lo hai visto?
- No.
- Mamma, faccio tutto io. Tu prepara i vestiti, passo a prenderli tra 20 minuti, poi sbrigo le pratiche con le onoranze e vado a sistemarlo. Quando ho finito ti avviso, così potete vederlo.
Riaggancio e vorrei chiamarti, ma mi manca il coraggio, così ti scrivo un messaggio: “Avrei bisogno di te qui, a Milano, in mortuaria per mio padre.” E aggiungo “Preferirei lavorarlo insieme”.
Mi chiami poco dopo:
- Come stai? Ora sono di servizio, non so per quanto ne avrò, potrei essere a Milano per le 21.00.
- La mortuaria chiude alle 20.00.
- Non farlo tu, non andare, manda qualcun altro.
- No, non hai capito voglio farlo io, ma se tu fossi con me starei meglio. Per favore vieni qui.
- Non dovresti farlo tu. Cazzo, ascoltami. Mi spiace, ma prima non riesco a raggiungerti. Hai avvisato tuo marito?
- No.
E chiudo la telefonata proprio mentre stai facendomi le condoglianze, vaffanculo. Le condoglianze mi vuoi fare, davvero? Mi richiami e non rispondo, tanto ci sei abituato, così come io sono abituata a sbrigarmela da sola, ad ogni modo in quei tre minuti scarsi di telefonata ho preparato la playlist per papà, quindi, non sei stato così inutile: mi hai distratta mentre stilavo una breve lista delle sue canzoni preferite, con una fitta al cuore.
Un’ora dopo entro in mortuaria, quando alzo il lenzuolo so già come sarà il volto che mi aspetta, ma controllo comunque il cartellino – ti hanno messo pure il secondo nome, scusa papà, è deformazione professionale, mai mettere le mani addosso a un cadavere non identificato. Sono solo automatismi cui mi aggrappo per fingere di avere sotto controllo la situazione. E dire che potrei riconoscerti ad occhi chiusi.
Mentre ti disinfetto faccio partire la playlist in ordine casuale e iniziamo con “Horses” di Patty Smith - ti ricordi quando l’abbiamo vista in concerto al Carroponte e tu stentavi a riconoscermi mentre ballavo e cantavo felice? E di quella volta che ci siamo piantati sotto il palco dell’Alcatraz per Nick Cave? Un bagno di sudore, il suo, addosso a noi, in tranche. E Bollani, ti ricordi?
Ti devo girare un attimo papà, scusa, la manovra non è delle più delicate, ma i cadaveri rispondono alle leggi della fisica. Eh già. Non a quelle della vita, ma della fisica, è tutta una questione di leve e alla fin fine sei leggero. Ti giro senza fatica e senza fretta, con braccio e fianco destro ti tengo, con la sinistra lavo. Mai stati così vicini in tutta la nostra vita – tu che mi allungavi la mano destra per salutarmi e ti ostinavi a chiamarmi “señorita”.
Anche questa è fatta. Papà, adesso andiamo di manovre invasive sul viso, però, ecco, lo devo fare per metterti in sicurezza, okay? So che rideresti della cosa e apprezzeresti, quindi, lasciami fare. Pinza, cotone e disinfettante. Anche adesso non dimostri la tua veneranda età, anche adesso hai il volto quasi privo di rughe. Papà, facciamo la barba, se vedessi come sono diventata brava col rasoio e ad annodare cravatte.
Stai diventando freddo. Sollevo la testa e infilo sotto un cuscino, prendo la crema e comincio a massaggiare, anche nella morte sei estremamente rilassato, senza paura, però le labbra sono un po’ tirate, adesso vedrai che nel giro di qualche minuto col massaggio i tessuti cedono e tornerà la tua espressione naturale. Eccoti, infatti, sotto i baffi fa capolino la tua bocca storta.
Sai, inconsciamente spero di vederlo spuntare dalla porta, ma so che non verrà e che ti dovrò preparare interamente da sola, anche perché non lo lascerei fare a nessun altro al mondo e poi sono abituata a lavorare da sola. Forse mi farebbe strano averlo tra i piedi. O forse vorrei averlo qui per potermi accasciare e piangere. Non mi chiede mai di essere forte. Sì, papà, è sempre lo stesso di qualche anno fa, no, non è finita e lo so che dovrei farmi portare in palmo di mano come dicevi tu, hai ragione – mi avresti detto “Hija mia, pero porqué eres tanto complicada?” poi avresti messo su Battisti con “Ancora tu” e saresti rimasto in silenzio ad aspettare una qualche breve confessione. Io probabilmente non avrei detto nulla e tu avresti capito meglio di chiunque altro.
Okay, il più è fatto, cominciamo la vestizione e vedi di essere collaborativo. Mentre ti infilo i calzettoni rossi parte la versione di Louis Armstrong di “When the saints go marching in” e comincio a versare le prime lacrime – il mascara, la mascherina, gli occhiali che si appannano, porca puttana. Non crollare adesso, finisci il lavoro, inspira, espira, non puoi cedere, inspira, espira.
Dammi cinque minuti e mi riprendo, papà. Se non fosse che segue “Cry me a river” nella versione di Joe Cocker, quanto ti piaceva la sua interpretazione. Piace tanto anche a me, bella grintosa. Mi appoggio con le mani alla barella, chino la testa e mi arrendo. Piango perché mi mancherai, perché mi manchi già, brutto orso malmostoso. Appena finisce la canzone mi rimetto all’opera, ma facciamo che saltiamo Ella Fitzgerald e torniamo in pista con Bruce Springsteen in “Dream baby dream”. Finisco di vestirti sulle note di “Can get it out of my head” della Electric Light Orchestra, canzone che ci aveva tirati scemi per una settimana, nessuno dei due ricordava il testo, men che meno titolo o band, e provavamo a cercarla su Shazam canticchiando invano. Che ridere. “Hija mia tira fuori il cellulare e vediamo che succede”, ossia usa l’applicazione.
Papà, non ti incazzare, ma ti devo truccare. Poco, giuro.
È per darti un po’ di colorito, una cosa leggerissima. Già finito. Visto? Diamo una sistemata ai capelli.
Massaggio le mani partendo dalla punta delle dita, tenendo l’avambraccio in verticale, così da far drenare sangue e liquidi verso il gomito, poi intreccio le dita della mano sinistra con quelle della destra e le posiziono sulla pancia.
Metto via gli attrezzi nella valigetta, tolgo guanti e mascherina, chiudo il sacchetto della spazzatura e lo butto nel cestino, mi lavo le mani, mi sistemo il trucco, ti ricontrollo. Raddrizzo il cuscino, tolgo due pelucchi dal maglione e aggiusto le pieghe dei pantaloni, stai bene vestito così papà, al funerale prometto che ci sarà tanta musica, ma temo che ci sarà anche tanta gente, un po’ troppa per i tuoi gusti, non ti incazzare. Tu sorridi, papà, e goditi la musica.