Chiudo lo zaino, saluto tutti e vado. Oggi molto prima del solito.
In fondo è tutto uguale a sempre anche se è l’ultimo giorno. Il selfie alla specchiera delle scale, il saluto ai commessi in guardiola, la doppia porta per uscire.
In pochi passi Piazza del Parlamento e Via del Corso.
Roma.
Lenta, comoda, con il naso all’insù. La solita luce tersa della primavera nella città più bella del mondo, a cominciare dal clima. Anche in questo mese che di maggio ha avuto davvero poco.
Le cuffiette nelle orecchie e il passo che prende il solito ritmo.
La facilità con cui l’abitudine si impone, rende i percorsi riconoscibili, apre ai pensieri, con la sua natura automatica che mi esime dal pormi domande sul cosa fare.
Eh sì che Spagna è stata chiusa per un secolo, ha riaperto da troppo poco per parlare di abitudine. Eppure lo è. Che sia per via Frattina o per la scenografia di via dei Condotti, arriverò lì.
Farò lo slalom tra i selfie stick, guarderò Trinità dei Monti e penserò “bella”. Ogni volta mi succede.
“Bella ma non ci vivrei”
No, ci lavoro.
Che poi, in realtà, oggi dovrei chiedermelo, cosa fare.
Ma non mi va. Non ora, non qui.
C’è lei, l’abitudine, che si è presa tutto, preoccupazioni in testa.
E la musica. L’abitudine si è presa la musica.
Un mese, migliaia di parole scritte per le più assurde delle destinazioni e ogni sera, lo stesso disco a chiudere la giornata. E quella stessa canzone da far scorrere nelle ossa e lasciare andare nelle gambe, fino a ballarla in mezzo ai turisti distratti.
È il bello della musica, baby.
In un attimo sei un videoclip un po’ tamarro, circondata da turisti ricchi che scrutano le boutique intorno a Piazza di Spagna e forse scrutano te, che ti mimetizzi ma spicchi un po’, camminando a ritmo e ondeggiando la testa.
Fino al ritornello, perché poi, vabbè, si apre Dutch nelle cuffie e ti apri anche tu, che un po’ corri nel pieno della Roma turistica e commerciale, quella che per te è la Roma istituzionale. Muovi un po’ le braccia nell’aria, scandisci il testo, ridi.
Addirittura oggi c’è anche il sole ed è presto. Molto presto, più dell’orario d’ufficio e molto più dell’ora a cui sei uscita in questo mese.
It’s campagna elettorale, baby. Ti mettono in una teca e ti chiedono cose, a tutte le ore, sempre, e tu prima pensi a come farle e poi le fai, a ritmi che non conoscevi ma che finiscono per piacerti.
“Sai io non chiedo mai le indicazioni ma provo a leggere quel segnale, c’è scritto ‘TUTTE LE DIREZIONI’, esattamente dove voglio andare”
Eccomi, sono io.
La campagna elettorale è finita, sono finite le richieste strane e potrebbe finire anche questa abitudine ma non è il momento per chiederselo.
“Lo sai la vita a volte è dura e non ha il senso dell’umorismo”
Sì, lo so.
Abbiamo vinto, abbiamo perso, ha senso questo plurale?
Non lo so.
So che sono qua nella città più bella del mondo e a volte non sono certa che mi ci voglia. Che sei faticosa, Roma. E a volte persino stronza, come tutte le belle che sanno di esserlo.
Io sono questa e a volte credo che non ti libererai di me.
Come oggi, che non ho un broncio da intonare alle occhiaie ma non per questo mi sento meno che bellissima.
Anche stanca, fuori forma e con l’unica convinzione di aver messo in pausa i piani.
Forse, se la sentiste, ‘sta canzone, direste che sono troppe mille parole da dedicarle. O magari mi direste che scrivere di musica è “come ballare sull’architettura”.
Seh. L’ho già sentita questa. Eppure scrivo di musica come scrivo della vita e le parole le possiamo mettere un po’ ovunque, così come le storie.
Qua c’è una storia. La storia di una non-più-ragazza che torna a casa da un lavoro bellissimo e maledettamente incerto ballando in mezzo ai turisti ricchi.
“Per la fortuna ci vuole timing”
Hai ragione, Dutch, ci vuole culo anche solo per avere culo.
Ma se ci penso troppo finisce che mi fermo.
“Mi è venuta così tanta fame a fare piani”
Perché è così che va. Più guardi lontano più ti incastri e ti affami. E alla fine perdi qualcosa. Perdi gli svincoli che non sapevi di poter avere. A guardare troppo lontano si rischia di fermarsi. E io no, io ho tutte le direzioni. Siano quelle che siano, io ci arriverò ballando.
“Scusami sai leggere le mani?”
Non fa niente. Lo scopro quando arrivo.