Un'emozione piccola così
Scivolava sul ghiaccio, saltava. La musica non era un granché e c’era la nebbia. Le persone intorno a lei sembravano un branco di pecorelle colorate in mezzo al bianco, che arrancavano sulle piccole discese coperte dal ghiaccio. Aveva deciso che quel pomeriggio era suo, nonostante fosse salita alla baita con alcuni suoi amici. Avrebbe fatto quello che desiderava: se c’era da perdersi in mezzo alla calca, parlare con sconosciuti, sculettarci insieme a ritmo di musica tamarra si sarebbe persa volentieri da sola, tra la gente.
Il senso di libertà è relativamente scollegato da quello di felicità, anche se il simpatico e il para-simpatico ci fanno credere sia lo stesso. L’universo intero di personalità è circondato da menzogne, credenze e pregiudizi che spingono l’io individuale a saltare di palo in frasca fino a confondersi nella moltitudine di idee che costellano il fuori da sé.
Una birra da mezzo? Ben venga, anche se fa freddo e la birra non riscalda per niente, anzi ti fa solo venire più pipì quando fuori tutto è umido e gelato. Si faceva spazio tra persone danzanti, persone ubriache, persone in botta, persone danzanti, ubriache e in botta. Non riusciva a togliersi quel sorriso ebete e gentile dalla faccia e niente e nessuno oggi poteva farle cambiare idea su nulla. Voleva prendere il tempo così, come veniva, i riflettori erano calati su altro e lei era il riflesso di sé stessa. Il freddo era piacevole e le scarpe bagnate di neve le ricordavano di quando era una piccola bimba moccolosa alla quale faceva paura lo skilift e non parlava con gli altri bambini dei corsi di sci, ai quali era costretta a partecipare per lasciare i suoi genitori alla loro liberissima settimana bianca per otto ore al giorno. Otto ore. Si ricordava poi, che il succo al mirtillo della merenda faceva sempre schifo: era di quel tiepido uguale all’urina lasciata dietro la cascina, più in alto, dai bevitori di birra quel pomeriggio.
Guardava in alto, saltando e facendo attenzione a non scivolare. Attaccava bottone con le persone attorno che si stupivano del fatto che fosse così esaltata; dalla sua lei li invitava a saltare e ballare insieme, o semplicemente a darsi due pacche sulla spalla e ridere di gusto di quanto sembrasse scema ai loro occhi, senza vergognarsene. Decise di andare in pista, dentro il grande patio di legno per prendersi da bere. Passò davanti ad una ragazza truccata da sera con una pelliccia finta, marrone scuro. All’improvviso quella le sorrise, cambiando totalmente espressione del viso, ed illuminando le ombre scure date dal trucco.
“Sei la prima persona a cui sorrido oggi!”
Lei un po’ perplessa, sorrise a sua volta: “Davvero? E perché non hai mai sorriso? Non ti diverti?”
“Non lo so, cioè si mi sto divertendo, ma sai ho sempre la faccia da incazzata, vero Silvia?” E la sua amica con fare distratto: “Sì, vero, lascia stare, sei fortunata. Di solito tiene sempre il muso. Ahahah!”
“Cioè sei passata tu e ho pensato, toh questa non c’ha proprio la faccia da stronza e si sta facendo i fatti suoi, si vede che sei tranquilla, tesoro. Scusami è che sono al quarto americano!”
“Beata te” disse lei. “ io sono ancora super sobria e penso che starò così, mi sto divertendo lo stesso e me la giro per conto mio”
Istintivamente lei abbracciò la sconosciuta e le disse di andare a divertirsi anche con la faccia da stronza, sempre col sorriso eh. Pazzesca la gente, pensava, a volte succedono delle cose davvero strane solo per qualche strana vibrazione o casualità e lo sguardo diventa rispetto e poi parola. Il pomeriggio sembrava riservagli belle sorprese.
Ad un certo punto fece passare tra la gente ammassata una ragazza con in mano delle patatine fritte calde, in bilico, che subito sorridendo le chiese se ne volesse una. Lei subito accettò e con leggerezza ne prese una dal contenitore, salutando la ragazza.
Era sempre stata affascinata dalla interconnessioni tra esseri umani e quando succedevano tali accadimenti non faceva altro che sorprendersi piacevolmente. Pensava di non essere pienamente consapevole del proprio potenziale e del fascino che poteva avere sugli altri. Preferiva non chiederselo, non parlare mai troppo, non sembrare fuori posto. Tutto dovuto al fatto di essere nata dal ventre di una madre con pregiudizi che le dava dell’arrogante e della supponente solamente perché non capiva i suoi ritmi e i suoi silenzi. Et voilà, ecco che la castrazione emotiva entrava in atto. Si incantò per un momento al bancone del bar, facendo passare la gente davanti a lei in fila. Poi si prese un’altra birra e andò in pista a muoversi in modo caricaturale; cerava di liberarsi di tutte le negatività mentre muoveva gambe, braccia, il bacino congelato.
Si sentiva addosso una felicità per niente associata alla libertà. Infondo era in mezzo ad una calca incredibile di persone la situazione era piuttosto soffocante; era liberamente felice di essere felice, di costruirsi la sua bugia silenziosa che le avrebbe fatto associare felicità a libertà. Nessuno è mai libero, prima di tutto dai propri pensieri, tradizioni e credenze; per esempio le ciabatte allineate di fianco al letto, la marca preferita della panna da cucina, il mondo che uno si crea di un libro dopo averlo letto. Per essere felice bastava una cosa piccola, un’emozione leggera. Le emozioni sono molto complesse, pure se sono leggere. Dietro la leggerezza si nascondono neuroni che mandano impulsi, serotonina, dopamina, il corpo tutto e la plasmabilità della coscienza quando viene a contatto con le piccole esplosioni, come le chiamava lei.
Le piccole esplosioni erano così fragili che potevano rompersi in un attimo, ed era per questo che andavano custodite con cura, fino a che non si consumavano in modo naturale e perfettamente compostabile.
Si sentiva vibrare tutta: dalla punta delle dita dei piedi alla parte più alta della testa. Un sorriso, un abbraccio in aspettato, la facevano sentire calda, semplice, come una pagnotta appena sfornata.
Tutte le persone sono diverse, è così che funziona, come noi siamo diversi a nostri occhi ogni attimo della vita, riflessi di riflessi di noi stessi; cosi gli altri vedono e sentono sé stessi in modo sempre nuovo, anche se spesso già conosciuto. Ci saranno sempre e inevitabilmente degli anfratti della mente che ci regaleranno piccole esplosioni, scosse inaspettate.
Conoscere i propri schemi è simbolo di forza, conoscere le strategie della testa è questione di allenamento. Quelle esplosioni che non colpiscono la testa però sono difficili da categorizzare, e non rimane altro che sentirne il riverbero attraversare il corpo; gli organi si smuovono, le ascelle sudano. Insomma è tutto ciò che rende il quotidiano un complicato elettrocardiogramma.
Basta un’emozione. Un emozione piccola così.