Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore
Sono piena di fili scoperti e quando ho paura mi sento al sicuro solo ascoltando Bon Iver. Passo le giornate ad immaginare quello che sarà, a controllare le previsioni metereologiche e a contare i metri quadri delle case in affitto, a cercare di ammansire la tachicardia annotando mentalmente tutto quello che si è incastrato durante il tragitto: una giornata di pioggia in Calle de Atocha a Madrid, una giornata di sole sulla provinciale che collega Roquefort a Cagnes sur mer lassù in Provenza mentre A. cercava sicurezza dentro una canzone di Appino, tutti i giorni degli arrivi delle prime volte e pure quelli dei ritorni, le parole che ci siamo pianti addosso io e F. su una panchina di Bologna e che ora vorrei tanto poter ricordare con precisione, quando dentro un locale a Bologna ho allungato le mani su un tavolo e ne ho trovate altre due, il freddo incredibile che ho provato al centro di Alexander Platz quando ho capito che a volte le parole sono solo fumo, quella volta che la città era immobile e tutte le persone girate di spalle sembravano te, le lotte silenziose e le carezze invisibili, Ghemon che canta sotto la pioggia e noi che ci facciamo strada tra la folla, i sentieri di sole e le parole di straforo, le storie raccontate di notte sopra il tetto della nostra casa, quando stavo scrivendo dentro una stanza buia e nonostante le decine di persone che erano passate lì davanti solo una è entrata ad accendermi la luce prendendosi cura della mia vista, le fotografie di Luigi Ghirri, quando mi dicevi che volevi trasferirti con me a nord di Londra lasciandoti dietro una scia che suonava esattamente come Oh Comely dei Neutral Milk Hotel e sempre immaginavi che io la ballassi ad occhi chiusi con pochissimi vestiti addosso i capelli legati e qualche ciocca ribelle sul collo per farti capire qualcosa, la voce di Kurt Cobain che sentivi dappertutto come quella di tua madre, vedere Livorno dal finestrino ma non fermarsi mai, quando abbiamo avuto paura di morire nello stesso magico istante.
Quello che vorrei sono più parole confessate sotto ai portici in piena notte, più libri da leggere con la fretta di chi ha fame, più baci a occhi chiusi, viaggi in bicicletta al di là della propria paura e nasi attaccati a un vetro.
Invece mi sono ritrovata casualmente in una poesia di Roberto Bolaño che è riuscito a decifrare i miei sogni e ho pensato di scrivertelo in maniera totalmente irresponsabile e sconsiderata. Mi hai risposto con una telefonata lunghissima che dovrei smetterla di farmi del male, di farti del male. Poi ti sei scusato perché hai lasciato sul cruscotto della macchina quella foto che ci siamo scattati in analogico qualche anno fa, quella tutta denti e nasi arricciati. Ti sei scusato perché mi avevi promesso che l’avresti preservata a costo della vita e invece adesso non esiste più, il sole ha deciso rovinosamente di cancellarla. Che poi è un po’ la metafora della nostra storia: insieme a quella fotografia sono spariti pure i nostri volti e le nostre storie, le mani piene di vene, gli occhi pieni di vento e i piedi pieni di chilometri.
Mi hai scritto “A forza di essere vento siamo andati a finire da qualche altra parte”, quando invece vorrei solo tornare ad avere vent’anni, in quell’eterno ed esatto istante in cui ci siamo conosciuti e io scrivevo sul diario “vorrei che la mia vita si fermasse ad adesso”.
Ci ho pensato mentre tagliavo la nebbia delle strade di Correggio con le mani piene di libri.
Ultimamente apporto alla mia vita cambiamenti poco radicali ma importanti, prendo decisioni in momenti strani e non riesco praticamente più ad addormentarmi senza pensare a cosa metterò negli scatoloni del trascolo che farò tra un anno. Nel frattempo vorrei solo incontrare Shadia di qualche anno fa per dirle fin dove siamo arrivate, che a un certo punto del cammino “tornare a casa” ha cambiato senso e direzione, che non si può stare sempre male, perché poi viene il sole e ci sono i rami degli alberi, i progetti e i desideri, i muscoli che fanno male e la voglia di piangere che fa sentire vivi; il rumore delle foglie secche che si rompono, le sirene dell'autoambulanza in sottofondo e i respiri profondi, l’ex Jugoslavia e tutti i posti belli dove potrei essere.
Vorrei una sorta di manovra di Heimlich per i pensieri e mai mai mai più condizionali.