Ciao!
Questa è VIVA, una rubrica di approfondimento curata da Tonia Peluso e Arianna Capulli che ogni 15 giorni finisce nelle vostre email e oggi torna dalle meritate vacanze.
La mia Calabria
di Tonia Peluso
Avevamo visto il mondo, le città e le grandi metropoli. E volevamo cambiare vita, immergerci nella natura. Lui, calabrese, mi portò qui e mi disse –voglio fare qualcosa– nulla di preciso o ben definito e pezzo per pezzo in 50 anni è nato il MuSaBa.
Hiske Maas, compagna di Nik Spatari e cofondatrice del Musaba
Il MuSaBa — Parco Museo Laboratorio Santa Barbara — è un parco museo all’aperto situato a Mammola, nel cuore della Calabria, a soli 10 chilometri della più nota costa ionica. Dalla metà del secolo scorso è un laboratorio produttivo che ha permesso ad artisti di diversa provenienza, locale e internazionale, di sperimentare forme d’arte capaci di ridare vita a un passato a cui troppo spesso si resta arroccati, perdendo la possibilità di volgere lo sguardo al mondo circostante. Nasce per mano di Nik Spatari — calabrese d’origine, giramondo per vocazione — e della sua compagna olandese Hiske Maas, che abbraccia il suo desiderio di tornare nel paese di origine dopo molti anni in cui ha riempito gli occhi e la mente di sogni realizzabili.
È difficile spiegare la suggestione di questo parco che si sviluppa intorno ai resti di un antico complesso monastico del X secolo, rispettandoli e innovandoli allo stesso tempo. È difficile rendere a pieno la bellezza dei mosaici, la maestosità degli affreschi, il senso di sacralità che lascia il posto all’energia su ogni angolo in cui l’occhio cerca riparo. È difficile raccontare Il sogno di Giacobbe che si estende in maniera imponente nell’abside e nella volta della chiesa di Santa Barbara. Giacobbe somiglia a Spatari, ha la sua stessa malinconia, e la sua vita è rappresentata usando tutti i colori presenti in natura, colori che insieme formano la tavola di Spatari, portando studiosi da tutto il mondo in quella che è stata poi chiamata la Cappella Sistina della Calabria.
Io il MuSaBa poco più di un mese fa non lo conoscevo. Neanche immaginavo che potesse esistere in quella striscia di terra spesso bistrattata. Ci sono andata in giorni in cui tutto intorno la natura bruciava e i canadair erano pochi per poter servire un territorio così vasto e insidioso. «Dio protegga il MuSaBa» mi sono trovata a pensare, sorridendo poco dopo tra me e me per quel pensiero fanciullesco che cela eppure la visione ristretta che fortemente condiziona le nostre vite: Dio, o chi per Lui, protegga solo ciò che conosciamo, ci scansi dall’ignoto, ci liberi dal male e soprattutto ci faccia vivere sereni nel recinto delle esperienze limitate che abbiamo, ché qua sperimentare costa sempre fatica.
Il MuSaBa potrebbe essere un posto instagrammabile, per dirla con le parole di un influencer che quest’estate ha fatto discutere per aver proposto una guida di posti che strizzano l’occhio all’appetibilità social. Non credo avesse cattive intenzioni o forse lo escludo solo perché mi sta simpatico. In questo caso starei riproponendo la sua stessa logica, ossia la tendenza a riportare tutto all’interno del mondo come lo conosciamo e riteniamo giusto, che poi è quello di cui parlavo poco fa. Il MuSaBa potrebbe essere un posto instagrammabile dicevo, eppure la condivisione quando ci sei dentro si fa postuma, frammentaria, perché nessun social può rendere la bellezza reale di questo luogo, la sua armonia, l’aria di eternità che vi si respira.
Sono stata in Calabria tutto agosto, a Siderno per la precisione. Ci ero stata vent’anni fa e poi ancora nell’estate del 2012. Sono andata con in mente un tipo di vacanza che non facevo da anni e mi riportava all’infanzia: una casa fronte mare, tanto spazio sulla spiaggia libera, poche distrazioni e la voglia di riposare e recuperare le forze per i mesi a seguire. La Calabria come io la ricordavo, luogo di evasione. Da piccola insistevo spesso sul fatto che non ci fosse niente: niente da fare, niente da vedere, niente da visitare. Mi scocciavo. Da grande ho sperato ancora non ci fosse niente. Mi sbagliavo. Ero forse solo troppo cieca per vedere tutto quello che c’è al di là dell’acqua limpida, delle distese immense di spiaggia e della vita all’apparenza semplice.
Dopo cinque giorni a crogiolarmi in questa condizione, per curiosità e spinta dalla noia ho chiesto su Twitter di consigliarmi qualche posto da vedere nelle vicinanze.
La Calabria è così bella che neanche lo si può immaginare. È una terra contraddittoria, vero, eppure ricca di cultura, di tradizioni, di religiosità, di cibo, di anziani che la amano, di giovani che sono rimasti e tanti ancora che sono tornati, rinunciando a una condizione di vita forse più desiderabile ma anche troppo lontana da quell’autenticità che si avverte ovunque: nelle strade, nella gentilezza mai forzata, nella scontrosità a volte di alcune risposte che raccontano la storia di chi a testa bassa non ha smesso mai di lavorare. La Calabria ha la testa dura, come la pelle di chi ha imparato ad assorbire dal sole i raggi buoni e quelli dannosi, per non bruciarsi, per restare a galla.
La mia Calabria quest’estate è stata Siderno con la terrazza sul mare che avevo tanto bramato, la spiaggia accessibile a pochi, passando a volte sui binari in maniera furtiva, altre sotto un ponticello basso basso che forse non era destinato manco alle persone. La Siderno del signor Leonardo con cui ho discusso il secondo giorno per il suo eccessivo zelo verso una raccolta differenziata che a me pareva la normalità e invece era diventata motivo d’orgoglio in un rituale ecologico che racchiudeva tutta la sua umanità e l’attaccamento a una terra sotto questo aspetto difficile.
La mia Calabria è stata Gerace arroccata su una montagna quasi impossibile da salire in auto tanto che, dopo qualche chilometro di curve e strade non recintate, la macchina abbiamo preferito lasciarla a un parcheggio e al borgo ci siamo arrivati con un trenino turistico. Al vederlo mi è preso un colpo. Se c’è una cosa che ero sicura nella vita non sarei mai arrivata a fare quella era salire su un borgo medievale su un trenino turistico con le luci e le canzoni in dialetto. E invece mi sono divertita. Lo guidava una donna sui cinquant’anni, con una sola mano perché con l’altra manteneva il microfono e faceva da guida. Mi è sembrata meravigliosa.
La mia Calabria è stata Laura. Non la conoscevo, a parte qualche parola scambiata sui social. Mi ha letta su Twitter, mi ha invitata a fare aperitivo e a fine serata sono tornata a casa con una borsa piena di prodotti tipici. La seconda volta che ci siamo viste ho guidato la sua macchina con lei che mi diceva la strada. Mi aveva proposto di andare a Scilla, 83,2 km di distanza. Presa dall’entusiasmo ho accettato dimenticando che io ho un maledetto mal d’auto e infatti ero ko dopo dieci minuti. « Puoi guidare tu se così non stai male » mi ha detto. Ho accettato subito, terrorizzata dall’idea di stare ancora più male, commossa dalla premura e dalla fiducia.
Scilla è un borgo bellissimo. Nei vicoletti stretti riecheggia il rumore delle onde grazie alle insenature che si aprono su una bellezza di acqua che forse ti dici è troppo da vedere. A Scilla ho mangiato il panino col pesce spada seduta in spiaggia, col tavolo a riva e i piedi scalzi bagnati dal mare. A Scilla ho visto il punto esatto in cui qualche anno fa un ragazzo si addormentò sul materassino e fu trascinato dalle correnti in Sicilia, magari può sembrare irrilevante, però mi è parsa una bella metafora.
La mia Calabria è stata il lungomare di Reggio, il più bel chilometro d’Italia secondo D’Annunzio. Un tratto di costa elegante, ben pensato, ricco di vita. Verso la fine del chilometro c’è l’Opera di Tresoldi: esili colonne di metallo che guardano lo Stretto di Messina e si mescolano con gli alberi circostanti.
È un’Opera che gioca con l’architettura classica, creando uno spazio aperto e suggestivo per celebrare la relazione tra l’uomo e la terra. Torna così ancora una volta la necessità di ripescare il passato e dargli una vita nuova nella speranza di unire sempre più la tradizione e l’innovazione perché la Calabria sia una terra da cui ripartire per poter restare.
La mia Calabria mi ha insegnato ad aprire lo sguardo e andare oltre il conosciuto. Perché lì si trova quella vita imprevedibilmente bella, perché li si gioca alla fine la vera partita.
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Fatti gli affari tuoi
di Arianna Capulli
Quanti problemi irrisolti
Ma un cuore grande così
Italia sì, Italia no, Italia gnamme, se famo du spaghi
Elio e le storie tese — La terra dei cachi
Bramiamo l’amnesia parziale del brutto, mantenendo buona la consapevolezza su tutto il bello che abbiamo davanti: “Voglio dimenticare quello che mi dà pensiero, ma voglio farlo felicemente e davanti al mare o sul cucuzzolo della montagna”.
In una parola: estate.
Sì, lo so, è già un lontano ricordo, ma i ricordi più si allontanano più assumono significati differenti, scevri dall’emotività del momento. Due settimane fa avrei detto “Sardegna, per carità”, una settimana fa “Sardegna, sono rimasta delusa”, oggi, dal balcone di un terzo piano in centro città, riaperture e primo giorno di pioggia dico “Sardegna, mi manchi”.
Provateci, rende bene l’idea di quanto a nessuna spiaggia del mondo, nessuna pietanza, nessuna persona e a nessuna circostanza corrisponda davvero un’emozione specifica, se non si considerano i processi cognitivi che ci guidano nell’interpretazione del mondo.
Meno realistiche delle aspettative sull’amore solo le aspettative sulle vacanze. Questo è.
Mentre rispondevo su Instagram alle domande su come fare per accettare che le vacanze fossero finite, allo stesso modo rispondo a mio fratello che mi chiama per dire che è tornato a casa:
“Vedi, J., se fosse ogni giorno vacanza, le vacanze non esisterebbero”.
La sua risposta:
“Sì vabbè, ciao, fammece provà, poi te lo dico”.
Onestà disarmante.
Capalbio, Verbania, Locarno, Isole Borromee, Roma, Budoni, Badesi.
La Toscana è bella, il lago è una piacevole sorpresa, la famiglia Borromeo sì che ha il pollice verde, ma le famiglie tedesche in vacanza sono il vero sollievo.
“Signora, mi spiace, mia figlia sta piangendo perché ha le coliche. Se preferisce mi sposto”.
Muovo le dita delle mani come al termine di un esercizio di rilassamento, nomino quello che vedo intorno a me. Sono viva, sono ancora viva e questa ragazza, che avrà almeno cinque anni meno di me e ha già tre figli, mi ha appena chiesto se sono infastidita dal pianto di sua figlia.
Chiamo mio marito. “Hai presente la scuola germanica vicinocasa? “: “Sì.” “Ecco, dobbiamo fare dei figli e iscriverli lì”. Così ora ho un’altra aspettativa irrealistica, quella per cui basterà insegnare a miei figli il tedesco perché diventino persone dotate di spiccato senso civico. A dirla tutta, penso a quello che direbbe Woody Allen se leggesse queste righe e credo proprio farebbe riferimento a quanto la presunta superiorità dei tedeschi ci abbia già messi in difficoltà una volta, magari sarebbe meglio evitare. Evitiamo.
A 16 anni, quella di chi era nato sopra Lugano, la chiamavo “freddezza”.
A 20, “riservatezza”.
A 31, “senso civico”.
Cambiano, con noi, le nostre esigenze. Non preoccupatevi se vi rendete conto all’improvviso di preferire qualcosa che fino a quel momento avevate ignorato o, in alcuni casi, disprezzato; non è solo normale, è anche auspicabile.
Le vacanze sono finite e pure le polemiche sono tornate.
Al ritorno, dopo otte ore di nave, consapevole di donare la mia testa su un piatto d’argento alla fazione dei risentiti, mi permetto di dire che sono rimasta delusa dalla vacanza in Sardegna. Non se lo fanno dire due volte e, come previsto, ghigliottina: “Non ci venire”. “Sei privilegiata e ti permetti di esprimere una tua opinione”.
Siamo tornati alla normalità. Questa è la nuova normalità: interpretare liberamente l’opinione altrui, che sia l’opinione di un professionista che utilizza una competenza specifica, che sia il vissuto soggettivo di una rompiscatole come me che si lamenta di un caffè pagato nonostante la colazione fosse inclusa. Quindi, come immaginerete, la mia impressione sulla vacanza è diventato un atto di razzismo nei confronti dei nativi e residenti in Sardegna.
Trovo il mondo per tornare dalla parte dei giusti; vi ho dato la testa, ora vi do pure il fianco, con la speranza possiate considerarlo un atto di umiltà: sono nata e cresciuta a Roma, non immagino la mia vita in una città che non sia Roma, ma Roma è piena di monnezza.
Qualche giorno dopo arriva la conferma da oltreoceano: la nota rivista di New York, Time Out, rende pubblico il risultato di un sondaggio su un campione di oltre 25000 turisti; la capitale sarebbe al primo posto nella classifica delle città più sporche e meno ecosostenibili.
Lunedì, riprende la giostra. Il lavoro mi sembra una ventata d’aria fresca. Persino pagare l’ente previdenziale mi sembra un atto di libertà.
L’agenda è nuova, non mi iscriverò in palestra, rivedo l’estate appena trascorsa e, tutto sommato, sono felice. Felice di essere tornata.
Individuo l’unico proposito che mi sembra finalmente di scorgere come una sorgente d’acqua fresca nel deserto, alle porte dell’autunno: fatti gli affari tuoi.
Un proposito, che come tutti i buoni propositi, dopo appena sei giorni, è già stato infranto.
“Voglio esagerare: chiudiamo Rete 4”, scrivo su Twitter dopo aver sentito Barbara Palombelli dire che dobbiamo domandarci quanto, una donna uccisa, abbia esasperato il suo carnefice.
“Stai augurando il licenziamento a tanti lavoratori onesti, sarai responsabile”.
Adesso specifico che era un’iperbole volta a evidenziare che non è solo Forum, a parer mio, il problema di quella rete, mi dico. Ma se c’è una cosa che ho imparato è che l’iperbole, dopo i 30, è l’equivalente del gatto morto all’interrogazione di matematica. Fatti gli affari tuoi.
Ok, datemi altri contributi da pagare, vi prego, ne ho bisogno.
Fino alla prossima sorgente d’acqua fresca, magari in zona Natale, quando tutti saremo finalmente allineati sui canditi.
Ah, no.
In fase di editing del pezzo, mi sono imbattuta in questo articolo, che ho letto come fosse una risposta a quello che avevo scritto e che invito a leggere.
https://www.ilpost.it/2021/09/18/collasso-contesto-social-network/
https://www.ilpost.it/massimomantellini/2021/09/14/andare-via-da-twitter/