VIVA #14
Ciao!
Questa è VIVA, una rubrica di approfondimento, che ogni 15 giorni finisce nelle vostre email, curata -per questa settimana- da Tonia Peluso con un importante pezzo sulla violenza di genere.
Violenza di genere, un supporto concreto
di Tonia Peluso
Uno dei temi spesso dibattuti negli ultimi tempi è quello della violenza di genere. Se ne parla in televisione, si ideano campagne, si creano contenuti social che strizzano l’occhio all’emotività. Si parla ormai di violenza in maniera generica per far riferimento a femminicidi, molestie nei luoghi pubblici, relazioni disfunzionali e tutte le altre manifestazioni di violenza che hanno come variabile primaria quella del sesso della vittima e del carnefice e sono alimentate da una cultura patriarcale radicata. Comune a tutte le forme di violenza è il mancato consenso della vittima e lo stato di malessere che la violenza genera in chi subisce, con conseguenze a breve o lungo termine. Se ne parla tanto, dicevo. Se ne parla tanto e spesso male, aggiungo. Povere donne, povere madri, povere figlie. Però avrebbe dovuto rispondere. Ma poi che ci faceva da sola per strada? Magari sarebbe meglio non indossare le gonne. Però potrebbe evitare di innervosire il marito. Forse lo aveva tradito, non sappiamo cos’è successo. Se ne parla tanto, ma non sempre per comprendere. Si diventa detective curiosi o giudici morali. A volte sembra quasi di essere dinanzi a un voyeurismo del dolore.
Non voglio qui fare un altro discorso pregno di retorica o arroccato sui toni di chi sa. Del resto, giovedì 25 novembre sarà la Giornata Mondiale Contro La Violenza Sulle Donne e il numero di chi sa tutto crescerà in maniera esponenziale. Ma se tutti sanno, chi fa? Chi organizza i servizi volti innanzitutto a prevenire e contrastare quanto più gli episodi di violenza e, in secondo luogo, capaci di fornire un supporto alle donne che invece hanno già subito? In tal senso in Italia servirebbe fare un lavoro di progettazione capillare, anche se molti passi in avanti sono stati fatti nell’ultimo mezzo secolo e negarlo sarebbe ingiusto.
Un importante punto di partenza è stata l’istituzione, con la Legge 29 luglio 1975, n. 405, dei Consultori, cioè dei servizi sociosanitari che hanno competenze multidisciplinari e organizzano una serie di interventi volti a migliorare la salute della donna nell’arco dell’intera vita, facendo attenzione soprattutto all’età evolutiva e alle dinamiche di coppia e familiari. Ciò avviene attraverso la cooperazione di diverse figure professionali — in genere nei Consultori c’è almeno un ginecologo, un’ostetrica, uno psicologo e un assistente sociale — in grado di promuovere iniziative di prevenzione e di sostegno per migliorare la vita delle donne.
La nascita dei Consultori rappresenta un evento epocale e per molto tempo resta l’unico strumento per provare ad aiutare le donne vittime di violenza. Bisogna aspettare infatti ben 14 anni perché si faccia un altro importante passo in avanti: nel 1989 nasce il primo centro antiviolenza riconosciuto, la Casa delle donne, che fa da modello per la nascita di altri centri, fino a che si viene a creare una vera e propria rete di supporto in cui rifugiarsi in presenza di episodi di violenza, sia sporadici che continui. In una prima fase i centri hanno lo scopo di accogliere e indirizzare; perciò, attraverso un colloquio, si cerca di capire come aiutare al meglio le donne vittime di violenza, considerando il loro vissuto e le condizioni psicofisiche in cui si presentano. Dopo un primo contatto si cerca di costruire dei percorsi di accompagnamento, rivolgendosi anche ad altri servizi presenti sul territorio. Il solo supporto piscologico e morale quasi mai basta, chi si rivolge ai centri ha bisogno anche di consulenza legale e un supporto concreto per poter prendere le distanze, emotive e fisiche, dal proprio carnefice. La violenza avviene spesso in ambito familiare, i carnefici sono padri, fratelli, partner, da cui è difficile emanciparsi senza avere un luogo sicuro dove andare. È necessario in questi casi intervenire in maniera tempestiva mettendo innanzitutto a disposizione alloggi gratuiti sicuri, come ad esempio le case rifugio, e cercando poi di far entrare le vittime nel mondo lavorativo. Si cerca insomma di favorire l’autonomia della vittima, ridandole sicurezza, dignità e la possibilità di un nuovo inserimento sociale. L’autonomia per molte donne è un miraggio che spesso anni di violenze hanno spazzato via.
Proprio questa consapevolezza ha contribuito a creare una maggiore sensibilità intorno al tema della violenza di genere, creando nuove domande anche negli ambiti istituzionali. Tra le altre cose, si è ragionato su cosa accada alle donne che, in seguito a episodi di violenza, abbiano la necessità di cure immediate. Spesso imbarazzo, paura o la presenza stessa dei carnefici mette queste donne nella condizione di non dire. Così le costole si rompono in seguito a una caduta, gli occhi diventano lividi sbattendo contro gli stipiti e le lacerazioni rischiano di essere un marchio da nascondere, a costo di non farsi aiutare. Il pronto soccorso diventa a volte, per le donne vittime di violenza, un luogo infernale in cui, nel tentativo di curare le ferite fisiche, si rischia di non lasciar rimarginare mai quelle dell’anima. A partire da ciò sono stati organizzati dei percorsi specifici dedicati alle donne ed è nato, con il DPCM del 24 novembre 2017, un protocollo nazionale — Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza — che ha lo scopo di formare gli operatori sociosanitari a riconoscere i casi di violenza e attivare le procedure necessarie.
Capita spesso che le donne vittime di violenza, soprattutto domestica, vogliano chiedere aiuto ma siano impossibilitate dal carnefice che attua un controllo diretto o è riuscito a creare un clima di terrore tale da far avvertire come potenziale pericolo qualsiasi tentativo di liberazione. Sono donne che hanno poco spazio d’azione e una vita sociale ridotta all’osso. Si è pensato quindi di rendere le Farmacie dei luoghi strategici, soprattutto per avere informazioni sui percorsi attivabili quando non è possibile contattare subito i Centri antiviolenza o i Pronto soccorso. Le donne che riescono a recarsi in farmacia possono chiedere aiuto, ma farlo non è sempre facile. Succede che molte donne siano imbarazzate dalla presenza di persone estranee, oltre il personale, o siano intimidite dalla paura di essere scoperte dal loro carnefice, che spesso è presente. In più le restrizioni per contenere il coronavirus hanno avuto come effetto indesiderato quello di aumentare notevolmente il tempo che vittima e carnefice trascorrono insieme mentre tutte le altre attività della vita quotidiana, che potevano rappresentare una via di fuga, sono diventate molto più esigue. C’è stata perciò la necessità di rafforzare quanto più possibile i canali d’aiuto già esistenti, come appunto le farmacie, introducendo gesti e frasi in codice per attivare una richiesta d’aiuto, anche in presenza dell’aggressore.
Da una fondazione canadese femminista che lavora contro la violenza domestica e di genere arriva Signal For Help, un gesto che consiste nel piegare verso il palmo della mano il pollice tenendo le altre quattro dita in alto e poi chiuderle a pugno. La speranza è che i farmacisti, precedentemente formati, sappiano cogliere il segnale d’aiuto in modo da attivare in maniera tempestiva le procedure adeguate. Diversi esperimenti sociali, uniti alle reali richieste d’aiuto che ci sono state, hanno mostrato come non tutti ancora siano in grado di decodificare il segnale e di tenere i nervi saldi, ma le richieste andate a buon fine sono state l’evidenza di come un semplice gesto possa essere rivoluzionario nel salvare una vita. La speranza è di arrivare a una consapevolezza tale da poter usare questo gesto anche in altri ambiti, per esempio durante una videochiamata o quando si apre la porta di casa per ricevere un pacco.
Un’iniziativa che ha coinvolto i centri antiviolenza e la Federazione farmacisti ha introdotto la Mascherina 1522, un formato di mascherina che in realtà non esiste, ma può essere richiesta per segnalare una situazione di violenza. Nel momento in cui una donna chiede una mascherina 1522 il farmacista deve essere in grado di processare la richiesta e darle le informazioni utili, attivando anche soccorsi immediati, qualora dovesse essercene bisogno. La cronaca ha mostrato come questa procedura possa davvero salvare la vita di donne in pericolo, come è successo di recente a Oristano quando una ragazza di 17 anni ha richiesto alla farmacista la mascherina 1522 e ha trovato dall’altra parte una donna che ha compreso il segnale lanciato e l’ha fatta accomodare nel retro della farmacia per accogliere il suo vissuto e poter allertare le autorità. Una semplice richiesta, unita all’umanità e alla professionalità della farmacista, hanno liberato la ragazza da un incubo di cinque anni di abusi da parte di un sessantenne amico di famiglia, che la costringeva al silenzio con regali e minacce.
Il 1522 è del resto il numero di emergenza antiviolenza e stalking, un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri — Dipartimento per le Pari Opportunità a partire dal 2006. È un numero gratuito e attivo 24h su 24, accessibile dall’intero territorio nazionale sia da rete fissa che mobile. La chiamata viene presa in carico da operatrici specializzate che intercettano le richieste di aiuto e sono in grado di avviare un percorso di sostegno per le vittime di violenza e stalking. Sul sito è specificato che: «Le operatrici telefoniche dedicate al servizio forniscono una prima risposta ai bisogni delle vittime di violenza di genere e stalking, offrendo informazioni utili e un orientamento verso i servizi socio-sanitari pubblici e privati presenti sul territorio nazionale ed inseriti nella mappatura ufficiale della Presidenza del Consiglio — Dipartimento Pari Opportunità. Il 1522, attraverso il supporto alle vittime, sostiene l’emersione della domanda di aiuto, con assoluta garanzia di anonimato. I casi di violenza che rivestono carattere di emergenza vengono accolti con una specifica procedura tecnico-operativa condivisa con le Forze dell’Ordine.»
Capita spesso che perfino una telefonata può innescare nei carnefici il sospetto e molte donne vittime di violenza siano ormai paralizzate dalla paura di ripercussioni più gravi. È stato perciò messo a disposizione da parte del 1522 un servizio di chat, che assicura una maggiore discrezione e anche la possibilità per alcune vittime di superare la difficoltà e l’imbarazzo che una telefonata può generare. Per parlare con un’operatrice basta andare sul sito o scaricare l’App 1522. Sulla scia di questo servizio di pubblica utilità, sono nati negli anni altri servizi che mettono a disposizione numeri verdi e applicazioni per stabilire un primo momento di contatto tra vittime e professionisti in grado di aiutarle. Sono strumenti utili non solo a diffondere la consapevolezza che a volte manca del tutto, ma anche a dare una speranza di aiuto senza doversi recare fisicamente in un luogo apposito, cosa che per alcune potrebbe essere difficile se non anche impossibile.
Una società che non rispetta le donne è una società che non ha cura per sé stessa. La violenza di genere è un fatto che ci riguarda tutti.
Parliamone, per creare un supporto concreto.