VIVA #18
Ciao!
Questa è VIVA, una rubrica di approfondimento curata da Tonia Peluso e Arianna Capulli che ogni 15 giorni finisce nelle vostre email.
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La fedina penale social
Una riflessione aperta, non un’analisi politica
di Arianna Capulli
La corsa al Palazzo dalle persiane turchesi ha indubbiamente offerto molti spunti di riflessione. Tra questi, uno in particolare mi ha dato da pensare.
Ogni volta che un nuovo nome veniva fatto, in politichese “bruciato”, iniziava la corsa della stampa e dei singoli curiosi, me inclusa, alla biografia degli e delle interessate (i primi più delle seconde per motivi tristemente noti). In alcuni casi, ci si è precipitati a cercare dichiarazioni sulla persona proposta, trovando evidenti contraddizioni. Sergio Mattarella è il di nuovo Presidente della Repubblica e anche l’unico del quale, immagino, non v’è traccia di dichiarazioni pregresse che farebbero mettere in discussione il suo alto profilo, altre due parole sentite e risentite in questi giorni.
Dopo qualche minuto di ricerca, la fedina penale social o, per allargare la riflessione, la fedina d’opinione sporca, pubblicata e ricondivisa centinaia di volte.
Che peso hanno le opinioni che esprimiamo? Quando lo facciamo pubblicamente, ne valutiamo la portata futura? Quindi, in buona sostanza, quanto dura un’opinione?
Ho avuto il dubbio, in un preciso momento, che avere un alto profilo significasse non aver mai avuto un profilo social, non aver mai espresso un’opinione netta (magari contro l’operato di un grande elettore), non averla mai fatta fuori dal vaso.
Certamente è rilevante la posizione di un candidato alla più alta carica dello stato su temi importanti, diritti insindacabili, nel rispetto di tutto il popolo che è chiamato/a a rappresentare. Ma, allargando la riflessione e compiendo un grande salto logico, fino a che punto, quello che abbiamo fatto e/o detto in passato, magari anche sbagliando, ci definisce oggi come persone o come, in questo caso, validi candidati alla Presidenza della Repubblica? Trascorro la gran parte delle mie giornate a invitare le persone, nel loro interesse, a prendere le distanze dal giudizio altrui, che parla di chi giudica e non di chi viene giudicato, ma non oso immaginare se una di queste persone venisse scartata da una fazione di grandi elettori per aver, che so, fatto una rinuncia agli studi, scritto su Facebook un post equivocabile, pubblicato un meme che non rispettasse gli standard – sempre meno flessibili – della community.
Quello che scriviamo sui social ha valore probatorio. In tribunale, la prova estrapolata dai social ha la stessa dignità formale, si legge, delle prove documentali classiche; il giudice si riserverà, caso per caso, di stabilirne rilevanza, pertinenza e verosimiglianza. La utilizzo come premessa: no, non vale tutto.
Quasi ogni giorno, tutt’altro che accidentalmente, apro i miei ricordi su Facebook e l’archivio delle storie su Instagram. Come avrete ormai intuito, sono incline alle confidenze e, sì, ogni tanto cancello qualcosa. Non so se per timore qualcuno possa risalirvi o se per il fastidio che provo a pensare d’aver partorito talune assurdità.
Mentre lo faccio mi accorgo che molte discussioni sotto alcuni post erano avvenute con persone che non frequento più e che non fanno più parte della mia bolla. Allora mi domando: chissà cosa penserebbe la mia compagna del liceo di me? Sono passati molti anni, io sono cambiata, ma quasi sicuramente l’idea che ha di me è la stessa di dieci e più anni fa. Me ne accorgo soprattutto perché, anche io, quando penso a persone del passato le penso com’erano, sicuramente non come sono. Perché, sì, qualcosa sarà cambiato, forse anche più di qualcosa, eppure la compagna che veniva a scuola con una scarpa diversa dall’altra, in un primo momento, per me, sarà sempre “quella sbadata di E.” Magari E., nel frattempo, svolge una professione d’alto profilo, tiene i conti per un’azienda che dà lavoro a migliaia di dipendenti, dirige i servizi segreti o magari no, ma per me sarà per sempre una sbadata e questo dovrebbe bastare per avere il terrore di esprimersi, di sbagliare, di utilizzare anche solo un’emoticon sui social.
A meno che, e mi pare il caso di specificarlo e sottolinearlo, non si diventi, noi per primi, un pelo più consapevoli della natura umana, tutt’altro che volta alla coerenza a tutti i costi, nell’arco di un’intera vita. Una vita in cui il punto di vista cambia costantemente; se è vero che difendere i nostri valori è una forma di tutela del nostro senso dell’identità personale, è altrettanto vero che le opinioni, invece, possono variare nel tempo e in base alle circostanze e che questo non è un segno di debolezza; al contrario, è una prova riuscita di adattamento, che ci protegge dal rischio di sperimentare una dissonanza cognitiva, condizione per la quale, la sussistenza di convinzioni antitetiche causa sofferenza. Sostituirne una con un’altra più adatta è invece una grande opportunità, motore di qualunque cambiamento e massima espressione della natura umana, tutt’altro che perfetta, tutt’altro che coerente, tutt’altro che di alto profilo.
La perfezione, che perseguiamo e che spesso ci causa sofferenza, è la stessa che esigiamo dagli altri, che non accettiamo possano essersi macchiati di un’opinione divergente dalla nostra, di un comportamento poco opportuno, delicato, competente. Sempre in nome di una presunta indispensabile coerenza, ricercandola negli altri, non possiamo fare altro che pensare di doverla raggiungere anche noi in un circolo vizioso che, gira che ti rigira, ci costringe a pregare un uomo che ha svolto bene il suo lavoro e che, felice d’averlo fatto, mentre trasloca nella sua nuova casa, è costretto a tornare indietro nonostante si sarebbe fatto sostituire volentieri.
Tra 7 anni, ancor di più tra 14 anni, le probabilità che un candidato presidente non abbia mai fatto/detto/scritto una stupidaggine (soggettivamente valutata tale) temo si saranno drasticamente ridotte.
L’altro timore che ci allontana dalla fiducia in noi stessi è la nostra coerenza: ci trattiene il rispetto per le azioni fatte e le parole dette, dato che gli occhi altrui non hanno altri elementi per calcolare la nostra orbita se non le nostre passate azioni, e noi siamo riluttanti a deluderli.
Ma perché continuare a tenere la testa dietro le spalle?
Supponiamo che ti contraddica; e con questo?
Perché trascinarti dietro il cadavere della memoria, per paura di contraddire quel che hai detto e fatto in questo o quel luogo pubblico?Emerson –La fiducia in se stessi – Edizioni Piano B La mala parte, p.32
(Trovi questo articolo anche su medium)
Una donna
di Tonia Peluso
«Martin, un solo matrimonio e quattro figlie: tutto sulla vita del padre di famiglia che vorrebbe cambiare il mondo.»
«Roma brucia, secondo indiscrezioni per mano del suo stesso imperatore. Negli ultimi tempi si era mostrato piuttosto uterino. Ha forse in questi giorni il ciclo?»
«Eugenio vince il Nobel. Oggi per voi la lettera che da ragazzo scrisse al Cioè.»
Il padre amorevole è Martin Luther King, l’imperatore uterino — questa è facile — Nerone e il poeta che scrive alla posta del cuore ha il nome di Eugenio Montale.
Questi sono titoli che non avete mai letto, mai leggerete. Fanno ridere. Sono sconclusionati, forse assurdi, a tratti dissacranti. Chi parlerebbe così di personalità illustri? Dipende. Nessuno parlerebbe così di uomini illustri, questa è una verità. Quando il soggetto degli articoli, così come dei discorsi, invece è donna di titoli ne abbiamo letti anche di più bassi. Curiosità morbose, aneddoti che sminuiscono, vezzeggiano, riducono grandi personalità a piccoli corpi. Da dottoresse, scienziate, ricercatrici, giuriste, scrittrici, astronaute diventiamo solo donne, ragazze, mamme, figlie. Spariscono le professioni, spesso anche i cognomi. Il nome fa più carina, il nomignolo poi perfetto per smussare ogni angolo di una persona a cui avranno pur dato in dotazione la grazia insieme alle tette. Funziona così.
In questi giorni è una cosa su cui ho ragionato spesso e con enorme disappunto. A guardarmi intorno mi è presa la nausea. È stato tutto uno sbracciarsi per chiedere una donna al Quirinale. Raramente ho letto o sentito nomi di candidate, che invece per gli uomini sono stati scritti a caratteri cubitali. Serviva dare una finta idea di progresso e uguaglianza, senza manco sforzarsi più di tanto. Per mettersi a posto la coscienza è bastato proporre una donna, una qualsiasi.
La strada per la parità di genere è ancora lunga, soprattutto se per alcuni abbiamo il dovere di percorrerla sculettando sui tacchi.