VIVA #22
Ciao!
Questa è VIVA, una rubrica di approfondimento curata da Tonia Peluso e Arianna Capulli che ogni 15 giorni finisce nelle vostre email, precisamente da un anno, quindi da parte di tuttə noi: auguri! YEEE!
La Festa
La settimana appena trascorsa ha celebrato un evento importante.
Lunedì Viva ha compiuto un anno. Il primo numero è di domenica 21 marzo 2021. Io e Arianna abbiamo scelto di uscire nel primo giorno di Primavera. Per me è stato quello: una bella stagione, ricca di fiori, di colori, di spunti ed entusiasmi. Non è mancato il vento, né le difficoltà, ma poi è arrivato ogni volta il sereno.
Inizio questo numero ringraziando la squadra di Viva. La mia gratitudine va per prima ad Arianna Capulli, l’altra voce di questo progetto. Amica, professionista che stimo, confronto e conforto sempre presente, ma soprattutto l’unica con cui posso parlare di tutto in una scala che va da Temptation Island a temi molto complessi, passando per quella routine imprevedibile che, riducendo, indichiamo come vita. Ringrazio Fantastico! che ci ha aperto le porte di casa e ospitate in una stanza con doppia esposizione (la luce prima di tutto). Un grazie grande a Bebo che supervisiona tutto e sa già che alla prima mail che manderò ne seguirà un’altra in cui mi accorgerò di qualche refuso (grazie per la pazienza). Ma, più che a tutti, sono grata a tutte le persone che in quest’anno ci hanno letto e sostenuto. I pareri, le riflessioni, ma anche le critiche, che sono arrivate in pubblico o in privato sono state sempre uno spunto di riflessione, non solo un modo per confermarci che stavamo facendo bene. Che poi, per quanto mi riguarda, anche quello è importante.
Evento che va, evento che viene.
Oggi inizia una settimana toniocentrica, in cui tutto verrà riportato a un solo argomento: il mio compleanno.
«È arrivato aprile» «Che è anche il mese in cui sono nata io.»
«Hai finito il progetto?» «Consegno giovedì, che poi domenica è il mio compleanno.»
«L’Italia non si è qualificata ai Mondiali per la seconda volta di fila» «Menomale che non ha giocato il 3 aprile che devo fare la festa.»
Messo così, nero su bianco, fa ridere e suona anche piuttosto bizzarro e invece vi assicuro che è tutto vero. Nella settimana che precede il mio compleanno le conversazioni sono più o meno tutte così, improntate a considerare il giorno in cui sono nata come un faro verso il quale debba essere indirizzato lo sguardo di chi mi circonda, almeno per una settimana l’anno. Anzi, una settimana e qualche giorno, perché dopo ho da pubblicare le foto.
Riconosco una discreta attenzione verso me stessa e tutto ciò che mi riguarda, una sorta di amor proprio che si autoregola ogni volta per non sfociare mai in un atteggiamento patologico. L’autostima è cosa giusta e desiderabile.
Dunque, se non fosse abbastanza chiaro, domenica 3 aprile sarà il mio compleanno. Trentun anni di onoratissime Toniate.
Per giorni ho pensato a come festeggiare, con risultati deprimenti perché tutte le idee migliori si infrangevano contro la loro effettiva possibilità di essere realizzate o venivano scartate in seguito a un esame di reale desiderabilità. Ho, nel giorno del mio compleanno, la necessità di costruire situazioni che mi facciano stare bene. Di solito sono quelle quanto più lontano dallo sfarzo: pranzare con mamma, starmene a guardare il mare, una serata tra amici.
Il mio compleanno si sviluppa ogni anno come un rito: i messaggi di auguri, la casa che si riempie di fiori, i regali. Mi piace tutto, ritengo ogni azione indispensabile a darmi indietro quella sensazione di benessere che idealmente associo a questo giorno. Eppure, per stare realmente bene, tutto ciò non basta. Concepire il compleanno come una semplice sequenza formalizzata di azioni vuol dire farne un fatto superficiale. Affinché sia davvero capace di generare un sentimento e, successivamente, un ricordo positivo, bisogna che si leghi a un vissuto collettivo: deve esserci la festa. Se il rito è qualcosa che si fa, la festa è qualcosa che soprattutto si sente. Un rito e una festa celebrati insieme possono essere considerati l’uno un testo, l’altra un contesto, l’uno un ordine di azioni obbligate, l’altra la sua cornice di vissuto. (Treccani)
Il rito è per la società un passaggio importante. Émile Durkheim e Randall Collins, nel loro studio sociologico sui riti religiosi, sono arrivati a definire il rito come una batteria sociale che produce energia. È la festa però a fare da vero collante sociale. La festa si nutre di una partecipazione collettiva e unisce i partecipanti in un fatto sociale nuovo. Durante le feste si rivedono le posizioni, stabiliscono alleanze e si innesca quel meccanismo di reciprocità che ti chiederà poi in futuro di ricambiare l’invito, il regalo, l’affetto.
Mi è capitato di officiare in passato riti, molto più articolati di una cena tra amici, che restavano insignificanti. È una sensazione terribile. Mi è capitato anche, per fortuna, di vivere compleanni che non aderivano per niente all’immagine rituale di cui li avevo rivestiti, ma che mi hanno lasciato tanta gioia e la certezza di essere ricoperta d’amore.
Sono stati due anni difficili. Ho compiuto 29 anni in lockdown e 30 in quarantena fiduciaria. Quest’anno l’idea di festeggiare mi ha fatto, per un momento, paura. Ho temuto che organizzare qualcosa con troppo anticipo mi avrebbe esposta al rischio di doverci restare male per fare posto all’imprevisto. Domenica sarà il mio compleanno. Me lo dico e ridico, che a pensarci ora mi sento meno impotente, anche se il pensiero magico continua a suggerirmi di non dirlo troppo perché potrei portarmi sfiga. La iella però non esiste, è solo una risposta irrazionale che diamo a noi stessi per preservarci da fatti che non riusciamo in altro modo a spiegare. Invece esisto io e tra una settimana compirò 31 anni. Festeggerò per ricordarmene. Sarà come segnare un passaggio, muovere il primo passo verso una socialità ritrovata. Quanto mi era mancata!
Appendice
Fin qui abbiamo fatto più o meno i seri, ma il mio compleanno è anche spesso promotore di Toniate. Come l’anno scorso quando, non potendo uscire di casa, ho spedito 30 bottiglie di spumante, a 30 indirizzi diversi. Non sono accettati giudizi.
Quest’anno invece ho ideato un manuale d’istruzione di cui effettivamente nessuno sentiva il bisogno. Nessuno tranne me, s’intende. Ne vado anche fiera, così tanto da condividerlo con voi. Mi metto comoda, vi mostro la me scanzonata. Anche questo è essere Viva, soprattutto questo è essere Viva.
(Trovi questo articolo anche su Medium)
Miscellanea di corsa
Avevo deciso che, per questo pezzo di Viva, che non sono riuscita a scrivere ieri, mi sarei fatta ispirare dal tassista che mi avrebbe portata in stazione oggi e che l’avrei scritto quindi in treno, sfruttando a mio favore il tempo.
Abbiamo preso un taxi per arrivare in stazione. Il tassista ci ha ricordato che oggi è previsto il grande ritorno, dopo lo stop a causa della pandemia, della Maratona di Roma: 42,194 Km che percorreranno i circa diecimila iscritti, dai Fori Imperiali alle Terme di Caracalla, passando per la Basilica di San Paolo, la Piramide Cestia, il Circo Massimo, l’Isola Tiberina, la Basilica di San Pietro, il Foro Italico, la Moschea di Roma e l’Auditorium. Un percorso che, in macchina, in un giorno feriale, si fa in 3/4 ore, le stesse che impiegheremmo se, anziché essere su questo treno, stessimo andando a Bologna, da Roma, in auto.
Nel 2009, Bejamin Kiptoo Kolum li corse in 2h 07’18”. La Kebede Megertu Alemu, nel 2019, in 2h22’52”.
“Avete fatto giusto in tempo a muovervi, tra poco chiuderanno tutto”, ci ha detto tra il divertito e il disperato.
Una posizione vaga quella del tassista che, probabilmente confuso dal mio accento poco marcato e da quello di Alberto tutt’altro che romano, non sapeva se lamentarsi con i Suoi o se fare quello che ai romani viene meglio di ogni altra cosa: presentare il gioiello ai forestieri.
Fatevi un regalo: salite su un tassì a Roma e interagite col tassinaro.
Nonno faceva il tassinaro, felicemente. Alberto, ogni volta che torna a casa, dopi avermi salutata mi racconta la conversazione col tassista. Deluso, a volte, mi dice che non ha trovato un complice.
Durante la pandemia mi è sembrato che Roma mi avesse concesso una tregua. Lungo le Mura Vaticane non c’era più la fila di turisti, neanche la domenica mattina. Passandoci pensavo e talvolta dicevo “Che bello sarebbe se fosse sempre così!”, consapevole del fatto che qualcuno stava pagando cari quegli spazi vuoti al metro quadrato, quel silenzio, quella fila per entrare ai Musei Vaticani che non c’era più. Ero combattuta anche io, tra il forte desiderio di avere la città tutta per me e il dispiacere per i ristoranti che non alzavano più la serranda.
Questa città è il più grande esercizio di elasticità che possiate trovarvi a fare e forse è per questo che la amo tanto, perché, nel suo essere spesso ostile, mi tiene allenata.
È come quando chiedo al maestro di tennis di rimanere sotto rete perché non ho fiato e, piano piano, mi spinge sempre più indietro perché correre è l’unico modo di farlo, quel fiato.
Il tassista, io e, sono sicura, anche i turisti in fila per ammirare la Cappella Sistina, curiosi, ma anche annoiati dall’attesa, tutti uniti dalla molteplicità di emozioni sperimentate nello stesso momento. Turisti che, con buona probabilità, usciranno e penseranno “Ore di aereo e ore di coda, certo bello, ma devono per forza urlarci contro di non fare foto?”.
Convivono in noi molteplici emozioni, tante quanti sono le sensazioni, le percezioni, i pensieri. Quelle emozioni determinano, a loro volta, opinioni, giudizi e sentimenti che sono il frutto di una valutazione globale fatta su una complessità.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.Gaio Valerio Catullo
Dal 50 A.C. sappiamo che diversi sentimenti possono convivere in noi, eppure continuiamo a tormentarci quando succede. Ma quand’è che succede il contrario e siamo felici? È felice chi ha una posizione netta, sempre, su tutto?
Accettare la complessità, allenare l’elasticità.
Accettare, come ha fatto il tassista, che questo sarà il suo quindicesimo turno il giorno della maratona, che chiuderanno la gran parte delle strade, strade che riapriranno finché gli ultimissimi non saranno arrivati al traguardo.
Fare come lui: trovare momentaneamente strade alternative, anche maledicendo quello che domani, sicuramente, continuerai ad amare.