VIVA #24
Ciao!
Questa è VIVA, una rubrica di approfondimento curata da Tonia Peluso e Arianna Capulli che ogni 15 giorni finisce nelle vostre email
Viva - La libertà
di Tonia Peluso
«La libertà è il nostro destino:
una sorte che non può essere ignorata e non ci abbandona mai.»
Zygmunt Bauman
La libertà è uno dei primi concetti con cui ci confrontiamo fin da bambini. Non appena iniziamo a muovere i primi passi, ci lanciamo alla avanscoperta di un mondo troppo grande e attraente per poter essere chiuso all’interno delle esperienze che qualcuno ha selezionato per noi.
Siamo liberi, ma al tempo stesso non lo siamo. Ci troviamo ben presto a fare i conti con il desiderio di libertà, che grida forte in noi, e i limiti delle nostre capacità, che ci portano inevitabilmente in una condizione di dipendenza da chi ci ha messo al mondo e si impegna a darci gli strumenti per imparare a starci. Il nostro desiderio di libertà cresce di pari passo con la consapevolezza che quella che ci è sembrata una condizione intrinseca alla natura di esseri umani, in realtà, deve essere continuamente discussa e conquistata.
La libertà è per prima cosa capacità di decidere e scegliere. Ma la determinazione e la buona volontà si mostrano spesso non adeguate nel sopperire alla mancanza dei mezzi necessari a realizzare pienamente la propria libertà. Si istaura un rapporto dialettico tra libertà di prendere le proprie decisioni e il contesto in cui queste decisioni vanno prese e sul quale esse avranno effetto. Ci si trova spesso a costatare che, senza un gruppo di appartenenza, che sia in grado di fornici gli strumenti adeguati, la libertà non potrebbe essere neanche pensata. Di contro, lo stesso gruppo di appartenenza pone dei confini alla libertà individuale, rappresentando esso stesso un limite. Nascere in una determinata famiglia o nella nazione in cui siamo nati non è una scelta, è la prima forma di dipendenza e rende chiara la consapevolezza che la libertà assoluta non può essere ricercata nella possibilità di fare sempre quello che si vuole, quando si vuole, pensando solo a sé stessi. Sarebbe la morte della società e di qualsiasi gruppo organizzato. Sarebbe, soprattutto, una perdita di sicurezza tale da rendere impossibile anche solo pensare al domani.
Per Bauman:
«La relazione ambivalente, dialettica, di odio-amore esistente tra sicurezza e libertà – due valori tanto indispensabili per una vita decente e dignitosa quanto difficili da essere riconciliati e goduti contemporaneamente – è una parte inalienabile e significativa della condizione umana. […] La loro dialettica, tuttavia, richiede di trattare la storia del genere umano come un movimento pendolare (a differenza di quanto è stato fatto nel XIX secolo, quando la storia è stata scritta come una serie di progressi costanti verso la libertà). Data l’impossibilità di guadagnare sicurezza senza cedere parti di libertà (come Sigmund Freud aveva già sostenuto in maniera convincente) e data l’impossibilità di estendere la libertà senza cedere una parte della sicurezza, il movimento pendolare non può che essere questo: quanto più arriviamo vicini al nostro ideale di sicurezza, tanto più onerosi e irritanti diventano i vincoli crescenti ma inevitabili imposti alle nostre libertà; mentre quanto più siamo vicini alla piena libertà senza vincoli, tanto più diventiamo insofferenti nei confronti del caos e dell'imprevedibilità di un mondo disorganizzato ‘fuori dal normale’, afflitto dai rischi che emergono, qualsiasi passo abbiamo il coraggio di prendere.»
La libertà non è mai assoluta, si ha attraverso un continuo processo di negoziazione tra autodeterminazione e sicurezza, unicità e conformismo, ribellione e conservazione.
In questo periodo mi sono trovata spesso a pensare al mio concetto personale di libertà, che non coincide con la negazione delle regole, ma va a porsi a un livello molto più profondo.
Per me libertà è rifiuto del giudizio altrui, è non avere paura di avere una visione mia delle cose, anche quando questa non può trovare un’effettiva corrispondenza nella contingenza specifica. Libertà per me è essere oltre la contingenza. È avere la lucidità di stabilire quali siano le cose su cui oggi ho potere decisionale e quali invece necessitino ancora di una paziente opera di mediazione. Per me libertà è anche avere l’opportunità di gestire il conflitto senza sentire l’esigenza di dover replicare un meccanismo considerato efficace.
Il conformismo io lo conosco bene. Sono cresciuta in un contesto chiuso – e non sento più neanche la necessità di specificare quale – in cui la libertà individuale era vista spesso come ribellione e ogni forma di iniziativa doveva essere limata dalla lama di una dottrina formale, che era più figlia della paura di doversi confrontare col caos, piuttosto che esternazione di un convincimento profondo.
Sono cresciuta in un contesto chiuso ma gettando sempre lo sguardo oltre l’orizzonte. Devo tanto a due genitori che, quasi rinnegando gli insegnamenti ricevuti, mi hanno educata alla pluralità di visioni e al dovere morale di avere sempre un’opinione personale, coltivando il coraggio di andare per la mia strada quando la mia percezione non era concorde con quella della maggioranza. Sono stata una bambina libera, non ribelle perché non ne avevo bisogno. Sono stata un’adolescente capace di imporsi, forte delle proprie convinzioni. Sono diventata, per un periodo tanto breve da non sembrare rilevante e che invece ha pesato come un macigno, una giovane donna che ha tentato di scendere a patti con il conformismo, per poi rinnegarlo con fermezza ancora una volta.
Essere liberi vuol dire essere unici e non riconoscersi nei codici dominanti, ma può voler dire essere percepiti come diversi o anche come elementi destabilizzanti. A volte essere liberi vuol dire essere oggetto di invidia, perché per alcuni la libertà è una condizione tanto desiderata, ma il percorso personale per raggiungerla chiede un sacrificio che non sono disposti a compiere.
Sono situazioni che ho vissuto spesso, tanto che a un certo punto ho pensato che, per non dover negoziare ogni volta chi fossi, ma neanche cedere al fascino di un modus operandi standardizzato che appiattisce mentre finge di proteggere, mi restava solo una cosa da fare: essere distaccata. Mi sono messa al di sopra delle parti, ho iniziato a guardare quelli che consideravo conformisti con disprezzo, separandomi anche fisicamente da alcuni. Se non volevo essere come loro, dovevo essere superiore. Anche questo è un errore. Libertà non è essere diversi, è essere sé stessi. Qualsiasi confronto con altri, ritenuti inferiori o superiori, finisce per sminuire il concetto di libertà stesso, lo confina all’interno di una visione competitiva in cui le possibilità di sperimentare sono a somma zero e vanno tolte ad alcuni per poter essere realizzate da altri.
Il mio concetto di libertà invece è foriero di infinite esperienze possibili e nessuna di esse ha come fine sminuire il vissuto altrui. Ma questo l’ho capito dopo, con un lavoro profondo su me stessa. Per un periodo, invece, ho cercato di limitare alcuni lati del mio carattere, quelli che tendono all’esuberanza soprattutto. Mi sono tolta dal centro della scena e nascosta nell’ombra di una presunta superiorità. Ho protetto tutto ciò che amavo per evitare che qualcuno, mettendolo a confronto con gli insegnamenti ricevuti, potesse giudicarlo fuori posto, mentre io lo consideravo giusto. Ho cercato, invano, di coprire la bellezza e lasciar sfiorire la gentilezza. Ho provato a nascondere l’entusiasmo e a non mostrare la meraviglia. Ma è durato poco. Chi sono – e sono sempre stata – è tornato ad affermarsi con prepotenza e con una consapevolezza nuova: libertà è per me non avere interesse per alcun tipo di giudizio sulla mia persona.
Libertà è aver trovato il coraggio di coltivare ciò che amo.
Libertà è essere me stessa.
Andando oltre l’esperienza particolare del mio vissuto, la Libertà è prima di tutto una lezione da ricordare. È l’Italia che ricorda gli uomini e le donne grazie ai quali si è liberata dall’occupazione nazista e dal regime fascista. Una ricorrenza che, mai come oggi, deve ricordarci di quanto la libertà sia necessaria a costruire, non il migliore dei mondi possibili, ma almeno uno in cui coltivare la speranza di un futuro migliore.
Il mio pensiero va agli uomini e alle donne della Resistenza, va agli scugnizzi e agli anziani delle Quattro Giornate di Napoli, le cui storie si sono tramandate nella memoria popolare così vive che mi è sembrato di riviverle con commozione ogni volta. A loro dico grazie.
(Trovi questo articolo anche su Medium)
I confini e la libertà
di Arianna Capulli
Se per essere liberi ci si riferisse alla possibilità di fare sempre ciò che vorremmo, molto probabilmente la nostra libertà sconfinerebbe altrove, fino, ipoteticamente, a ledere l’altro. La libertà è un bisogno, ma anche un valore. Un valore che, come tutti i valori, se estremizzato, rischia di diventare dogma, doverizzazione e di metterci in difficoltà, blindandoci all’interno delle nostre più rigide convinzioni. L’esercizio del pensiero critico ci rende liberi, la possibilità di strutturare un pensiero che sia coerente con il nostro sentire più che con il sentire di chi (o cosa) tende a polarizzare, facendoci credere sia opportuno schierarsi da una parte o dall’altra, senza mai coltivare il dubbio.
Il dubbio è libertà, opportunità di prendersi del tempo per valutare, per capire, comprendere e, casomai, se conveniente, agire.
La libertà considera l’interazione con gli Altri e con l’ambiente e non potrebbe essere altrimenti; l’interazione è preferibile avvenga nella tutela dei propri confini personali. I confini personali, fisici ed emotivi, sono i limiti che impostiamo ogni volta che entriamo in relazione con altre persone. Una linea immaginaria, che si rivela attraverso il comportamento verbale e non verbale, entro la quale ci siamo noi, con i nostri valori, le nostre preferenze, ciò che riteniamo essere più o meno giusto, più o meno sbagliato. Scoprirli e riconoscerli ci è utile a stabilire quando e fino a dove riteniamo accettabile il comportamento altrui nei nostri riguardi. Scoprire i propri confini sani significa imparare a conoscersi e a definirsi, a soddisfare bisogni e preferenze, da quelle che tendono a essere immutabili a quelle che variano nel corso del tempo, considerati i cambiamenti che avvengono continuamente all’interno e all’esterno.
Affinché possano svolgere la loro funzione protettiva, è bene che entro tali limiti si coltivino una buona autostima, la percezione di valore che attribuiamo a noi stessi e un senso dell’identità sufficientemente solido, presupposto necessario affinché ciò che arriva dall’esterno non mini il nostro equilibrio.
Un errore che spesso si fa è quello di confondere i confini personali con i muri di una fortezza da difendere con le unghie e con i denti.
Se, infatti, anziché terreno fertile sul quale far crescere il seme della nostra sicurezza, al di qua dell’interazione con l’ambiente costruiamo un campo minato, difendendo la libertà di essere noi stessi con l’aggressività o la violenza, rischiamo di farci prigionieri, limitando la nostra stessa libertà. In questo caso, parliamo di confini rigidi.
I confini flebili sono quelli entro i quali consentiamo all’Altro di entrare e di esercitare a piacimento i suoi bisogni e le sue preferenze. In questo caso, la libertà concessa all’Altro rischia di mettere in discussione la nostra e, con lei, la capacità di differenziare l’Io dal Tu, che rischiano quindi di fondersi in quella che comunemente definiamo dipendenza. Se dipendiamo, lo sappiamo, non possiamo essere liberi.
I confini sani sono quelli entro i quali siamo disposti a ospitare l’Altro, se e quando lo desideriamo. Sono quelli entro i quali ci sentiamo liberi e siamo capaci di chiarire, anche verbalmente, quali sono le accortezze da rispettare per una pacifica convivenza in “casa nostra”, lasciando, al contempo, a chi entra la libertà di accettare tali disposizioni o meno. Scegliere e lasciar scegliere. I confini come un luogo di passaggio per entrare dove si è ben voluti e si accettano le condizioni di chi lì dentro vive e protegge così la sua identità.
Ridefinire i propri confini, esercitandosi a farli vedere e rispettare, è uno degli obiettivi della psicoterapia.
Lascerò alla vostra capacità di astrazione, limitando inferenze o salti logici, l’esercizio di notare come l’interazione del singolo con l’ambiente rifletta le dinamiche dell’interazione tra gruppi di persone, comunità, popoli, nazioni.
Mi permetto però di suggerire la lettura di questo articolo:
Il confine è questo. Separa formalmente le identità, e unisce paradossalmente le persone: che, spesso, al di qua e al di là del confine, sono tra loro più simili di quanto siano le terre e le genti di confine rispetto ai loro rispettivi centri, alle capitali del paese cui appartengono.
Stefano Allievi
Lettura suggerita:
Cloud H., Townsend J. (2018). Confini. Quando dire sì, come dire no, per riacquistare il controllo della propria vita. Edizioni CLC