...alla soglia dell'anno Mille vorrei essere un monaco e fare delle fronde degli alberi il mio riparo dal sole, lavarmi direttamente alla fonte e prepararmi il pane da me. È così che mi sento quando stiamo seduti in cima alle colline o distesi sul bancone del bar o io solo seduto sul pavimento a gambe incrociate le mattine d'estate presto. Che sentimento ingenuo, infantile è vero, eppure così grande da farci una casa, in cui ripararsi e appenderci le tendine, in cui invecchiare e nutrire questo dolore che scorre tra le intercapedini dei miei muscoli, della mia carne, e che mi fa sentire così vivo, vivo!, finalmente dopo tanto tempo, le lacrime abbeverano queste palpebre aride, livide, assetate di vita. M'infastidisce che queste parentesi di beatitudine siano sempre retroattive e il presente mi sfugga di continuo, per un soffio, e il pugno si distenda a rivelare un palmo vuoto, ma chi lo dice che l'ombra del grande cedro sia meno reale del grande cedro che si staglia contro il sole? Mi parli di coerenza e di illusioni ma che coerenza può avere un paradosso e cos'ha di illusorio un'illusione finché ci credi? Non voglio parlare più di felicità ma solo di qui e ora, accoccolare le mani a forma di ciotola e bere l'acqua così, a grandi sorsi, e congelarmi i denti, e vivere allo stesso modo, con le mani acciambellate e bere a grandi sorsi, senza sforzo, senza tensione, bermi il presente e congelarmi i denti. Che gran ridere sarebbe, rideremmo tutti insieme e poi ci guarderemmo l'un l'altro nel silenzio, nel candore del crepuscolo, e d'improvviso ci accorgeremmo di essere stanchi. Ritorneremo a cantare in cima alle colline, a mollo nel sole, ad aspettare la 22 alla fermata del bus, trafelati e goffi, come gabbiani sulla sabbia, di nuovo ragazzini innamorati non si sa di cosa, ritorneremo ma non oggi. Ti saluto qui, alla soglia della fine del mondo e ti auguro buona fortuna, incatenando sorrisi a parole, per tutto quello che ti aspetta. Lo so quanto odi guidare l'auto di tuo padre, incastrare una marcia dietro l'altra, quanto odi l'odore dei coprisedili e l'arbre magique che dondola incessantemente, ricordo ogni tuo volto, tutti i tuoi visi alla guida della detestata, sempre troppo pulita Volkswagen, ogni volta che mi portavi a bere, al mare, all'ospedale. Ci ripenso, mentre il giorno si consuma, e io con lui, senza sapere perché, il motivo di quel tuffo repentino in anni lontani, proprio il giorno del nostro buon viaggio, prenditi cura di te e affini, mentre tutt'intorno le torri crollano all'arrivo dei barbari. Il mondo oggi finisce e spero che nessuno mi rimproveri di aver amato troppo poco, ma solo di aver amato troppo, senza discrimine, che perdonino ogni mia fallacia e abbiano pietà della mia fragilità, che ho solo quelle a farmi grande, ad illuminarmi nell'abisso, a ricoprire di bronzo il ventre mollo. Mi rimetto sempre agli altri – mi si chiami irresponsabile - eppure cosa sono se non contrasto all'identità di qualcun altro, che cosa sono se non relazione, santo cielo oggi il mondo finisce e io continuo a sperare, non so in cosa ma comunque in qualcosa, non mi resta che arrendermi alla speranza, e all'estensione che ho di me negli altri e all'estensione che ho di me in me stesso, alle pizze riscaldate al microonde ore 3.37 circa, dipende che orologio della casa guardi, ai cerchi di persone sul cemento, sul ciottolato, sui sanpietrini, alla mia testa appoggiata al grembo di qualcuno. Non resta che arrendersi alla bellezza accecante che mi sovrasta, al male che m'impasta, agli sputi degli anziani, alla lotta quotidiana, alle tracce dei caprioli nella fanghiglia, ai video degli omicidi, alla forza di cambiare, di immaginare un'utopia e di rendersi conto di starla già attuando, al rosso dei tetti sbiadito o acceso a seconda del colore del cielo, al truciolame quando tagli la legna, alla vastità degli autobus notturni...
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