Ricordi il giorno in cui ti sei persa nel bosco, in mezzo a un dedalo di uffici e tram e uffici postali, e quando meno te l’aspettavi l’hai trovato, una folta falange di querce e faggi e frassini e verdoni e merli zampettanti in mezzo ai rovi, demiurghi di mostri e sussulti ad ogni svolta? Hai squarciato l’F24 e la ritenuta d’acconto con un taglierino nascosto tra le cosce e oltre hai trovato il tetto d’una centrale da cui guardare il tramonto rabbuiarsi tra le colline e i tetti baluginare come denti d’oro tra i sorrisi d’un contrabbandiere. Madonna, non ci crederai mai, mi è successa la stessa cosa oggi. Sì, lo so, finisco sempre nell’autonarrazione, santo cielo, non guardarmi con quegli occhi di trementina, vorrei parlare di guerriglieri con il capo ricoperto d’edera e astute anziane avvelenatrici, davvero, ma prima devo risolvere me stesso e sentire l’ultimo click prima della soluzione del cubo di Rubrick. Dicevo, mi è successa la stessa cosa, assurdo, no? No ok, non è assurdo per nulla, sì hai ragione, probabilmente solo oggi è successo ad un sacco di gente ma tra quelle ci sono io e non è assurdo? Ok, di base è successo che stavo perso...no, non perso. Stavo intrappolato tra appartamenti penne biro autocertificazioni e instagram scrolling e sapevo benissimo dove stessi, dove mi trovassi, e la cosa non mi faceva affatto piacere. Sì lo so, è sbagliato, non dovrei, dovrei imparare a stare bene ovunque mi trovi, o meglio, dove mi trovo sempre, ciò dentro le mie ossa e dentro le mie cervella e tutta la questione dello zen, giuro, è l’unica cosa che voglio, l’unica. Ma porcodio non ci riesco. Non ancora dirai, e spero tanto tu abbia ragione. Comunque, dicevo che stavo immobile in questo limbo soffocante, onirico, e poi bam, mi sono seduto in mezzo ad un prato, nascosto tra le vigne, con il vento che nuotava tra i fili d’erba e una poiana che si alza in volo e tutto il resto. Ma non tipo che mi sono immaginato di stare su un prato, o che sognavo di stare su un prato o che ho chiuso gli occhi e non so cosa. No no, ci stavo davvero, reale come la sedia su cui sono seduto, come tu nel bosco quella volta. E davanti vedevo le montagne, le montagne cristoiddio! Ma c’hai mai pensato quanto sono strane le montagne, con tutti quei profili e zigomi che s’innalzano dal suolo immensi come giganti sopiti, tutti differenti l’uno dall’altro? Ma secondo me le montagne si riconoscono l’una con l’altra, si distinguono, e si chiamano con i propri nomi, mentre l’alba li trafigge al sorgere del giorno nuovo. Tipo non ti è mai capitato che osservi attentamente il volto d’uno zio, di un amico di famiglia e d’improvviso ti sembra estraneo e ti trovi a domandarti se l’hai mai davvero conosciuto, da dove sbuchino tutte quelle rughe, quelle sopracciglia squadrate, quel naso adunco o se ti è successo solo ora, di conoscerlo, dopo vent’anni di visite e cene e gite fuori porta. A me più invecchio più succede. Da bambino avevo la certezza di sapere esattamente chi avessi di fronte, di che stessi parlando, mentre ora ogni tanto vedo mia madre e non la riconosco. Io credo che accadano un sacco di cose surreali sai, inspiegabili tipo, e questa cosa della scienza e che noi sappiamo tutto, sappiamo spiegare ogni cosa e che tutto sia ovvio, ecco questa cosa credo sia una grande cazzata. Non che la scienza non abbia valore o non abbia senso o sia sbagliata, no no, io credo fermamente nella fisica quantistica, nell’orizzonte degli eventi, nella mitosi e nei documentari d’astrofisica della BBC. Dico solo che poi il vino spanto sulle camicie e gli sputi dai terrazzi e quella volta in terza elementare, quando di ritorno da scuola balenò in me la fulminante consapevolezza d’essere io e non tu le puoi davvero ridurre a formula matematiche? Non è che voglio fare il romantico o l’idealista o peggio il bigotto, ma ok abbiamo i neuroni e le sinapsi e la trasmissione dell’impulso elettrico, la differenza di potenziale e le intelligenze artificiali ma come lo spieghi tutto questo parlare superfluo e disperato? Sì sì, mi sono perso, hai ragione. Ti dicevo, stavo seduto su un tappeto d’erba brillante, un verde incandescente, lucente di LSD. Davvero, ti giuro. E davanti avevo il cerchio di cenere, le vestigia del fuoco di gennaio, e di tutti i gennai precedenti, e ho rivisto tutti, ma proprio tutti, ti ricordi, seduti intorno al focolare una notte gelida, una notte di gennaio, carica del freddo di tutti i gennai precedenti. E mi venne in mente di quando Iacu mi disse “veç, hai fatto la cosa più antica del mondo: hai riunito delle persone intorno ad un fuoco” e io dissi “è vero” e mi vennero le lacrime agli occhi. Cazzo, mi sono sentito subito stupido - dico oggi seduto per terra - perché stavo ancora una volta trovando riparo nei ricordi. E invece ero lì, in mezzo alle api e i noccioli che fiorivano, e giocavo a passarmi i fili d’erba tra le dita, ogni tanto li tiravo, ma subito opponevano resistenza, capito? Si ancoravano al terriccio con radici di platano e capivo di star commettendo sacrilegio e subito allentavo la presa. Dico, ero lì, in mezzo a tutto questo e non riuscivo a pensare ad altro che a una notte di gennaio, agli amici, ad amori sfioriti. Mentre questo, intendo questo presente, continua a rimanere per me un mistero. Non lo comprendo, nel senso etimologico dico, proprio non lo afferro, mi sfugge via tra le pieghe della mano. E tu so, so cosa stai per dire, so che stai per recitare un koan e farti ineffabile come sequoia nel bosco e santo cielo, non sai quanto t’invidio, anche se non lo ammetto mai. E le mie nevrosi, il peso dello scorrere del tempo e il terrore del non essere, tutte queste cose, le sento ancora distintamente attorcigliare le viscere e vorrei essere solo lavato alla sorgente ed essere leggero, battezzato nel mosto e nel miele. Poi capisco che nessuna mano può mondare la mia fronte e tutto questo paesaggio di monti e colli e valli e lande desolate dovrò percorrerlo da solo e dinnanzi a me si apre un mondo immenso, tanto spaventoso quanto strabiliante, e ne sono intimorito ma anche eccitato. Sì ecco, oggi mi è successo questo, e so che mi dici ma che m’interessa, e mi chiedi cosa voglio dire, e niente io voglio dirti solo che è successo e insomma volevo raccontartelo e poi mi manchi. E sono qua chino sulla scrivania tra muse virtuali e stronzate che non hanno alcuna importanza per me, per quello che sono, alcuna pertinenza, e l’unica cosa che vorrei è tuffarmi nel mare petrolio, esattamente dentro i barbagli nivei che vedi fluttuare tra le onde in certi giorni d’estate. E allora perché non mi butto?
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