a jack senff, nick stutsman, michael gerstein, dwayne robinson,
allen ginsberg, neal cassady, jack kerouac, nanda pivano,
pendleton ward, duncan trussell,
e a tutti i miei amici
succede che Nico abbia giornate frugali, in cui gli capita di andare in bici a piedi nudi e bere il vino con la coca cola. Nico è grato della frugalità di quelle giornate e gli pare che il non-senso di tutto torni improvvisamente ad acquistare una rotta, ovvero che non vi sia nessuna direzione a cui puntare se non la coca cola mischiarsi nel vino e i pedali graffiare le dita dei piedi, e questo basti a riempire l'intero spazio della propria esistenza. Quando spacca la legna l'ascia e il cavalletto e il sudore e i trucioli e le bestemmie occupano l'intero orizzonte e non c'è motivo d'altro. Una volta stancatosi s'assopisce madido e maleodorante sotto il prugno e scaccia infastidito le mosche con la mano; allora sa di vivere mille vite e il peso della storia lo scuote. Arriva presto però il bisogno di una doccia e Nico torna a masturbarsi sette volte al giorno e a languire sul divano in cerca di verità celate tra le venature del soffitto e ottocento video su youtube. A Nico i discorsi importanti imbarazzano, chiaccherati e sputati da una bocca all'altra, che si parli di fini e scopi e destini di uomini così soli o dell'importanza delle scelte di politica economica del presidente della banca centrale gli sembra sempre che le cose dette siano infine stupide e preferisce di gran lunga perdere ore a parlare invece di cose stupide, e sentir raccontare di ubriachi e disavventure di bar e di fattacci successi a lavoro e inaspettate compagnie sbucate da chissà quale fiore di mezza notte, di merde dietro i cassonetti e lacrime sui vestiti, esaminandone ogni aspetto, bramoso di ogni dettaglio, e allora gli sembra che ogni cosa detta o successa nasconda una grandezza incommensurabile al suo fondo. Ripensa spesso a un pomeriggio di molti anni fa, seduto sul limitare della vigna, un suo amico allungato sull'erba accanto a lui e le biciclette distese sotto il sole qualche metro più in là, come felini all'ora della siesta. Di fronte le montagne vicine da poterle colpire con un sasso e molti sassi lanciati nel tentativo di poter godere dello tonfo sordo delle cime impattate – piacere sempre negato, chissà per quale motivo – ancora ignaro che un giorno spesso avrebbe ripensato a quegli istanti, con malinconia non del tutto giustificata e mai del tutto compresa. Allora altro occupava la testa del ragazzino, in primis la strana dolcezza provata nell'avvertire il sellino insinuarsi tra le natiche e spingere sul buco del culo, in piedi sui pedali in piena discesa, e poi il perché non l'avesse detto all'amico, seppure s'erano giurati di dirsi tutto. Erano quelli tempi di pensieri molto più articolati, di preoccupazioni molto più profonde. Oggi al contrario troppo spesso cose futili s'insinuano tra i cuscini del divano e non c'è più molto tempo né modo di immergersi nella laboriosità del gioco, nella serietà dell'ozio, nella dinamicità del non far nulla. Bisogna aspettare una sera di maggio, nello stupore del sole che s'attarda nel cielo, perché abbia il coraggio di tracciare un sentiero e un'idea di fine possa venir contemplata senza paura. Perché stanco di correre e fuggire fermo sul proprio posto, di impasticcarsi di antidolorifici e coprirsi sotto le lenzuola d'un letto d'ospedale, non conti finalmente le dita della propria mano e s'accorga che da dovunque sia venuto e dovunque andrà comunque ritornerà sempre qua, dov'è, di nuovo nel ventre materno, di nuovo tra le radici di un albero, di nuovo tra il silenzio di una supernova che esplode e collide con lo spazio e con il tempo. Certe volte Nico credo di non aver bisogno di nessuno ed è proprio sul limitare di questa certezza che l'avvenire del mondo, nel suo immoto accadere, lo colpisce in faccia con tutta la bellezza della propria assurda complessità. È proprio quando crede d'essere al riparo da qualsiasi catastrofe che Nico s'innamora di nuovo.