Benvenuti al cinquantanovesimo appuntamento di Fantastico!
Io sono bebo e il modo migliore per spaventare un conservatore è leggere e diventare ricchi, mother fucker (cit.):
- La notte è l’ambientazione di riferimento per Urfidia che, come molte creature notturne, si ritrova in un labirinto di casualità che portano a destra, a sinistra, avanti e indietro nel tempo.
- Dopo qualche settimana di latitanza torna su questi schermi Lole Khéops e fa quello che io più odio in assoluto: parlarci di un parente morto. E vaffanculo che bene, che bello, che vita.
- Annie torna a farci visita con uno spaccato intenso di intimità che inizia vantandosi e conclude con una domanda senza punto interrogativo, perché posta attraverso il corpo.
- Addio. Addii. Interruzioni forzate o involontarie. Che traumi, con michiamanofab.
- Il percorso della poesia di Sturoimarco è incredibilmente affascinante perché, come quasi nessuno, ne fa un uso anti-consolatorio, arrivando a ricordarmi i versi di protesta di quando la poesia era un’arma.
- Con Ame non si può fare finta di niente, non si può far finta che non ci sia la bestiale rutilanza di chi se potesse ti metterebbe le dita negli occhi pur di non farsi guardare, quella rabbia a doppio verso che solo la presa di coscienza della proprio finita incertezza sa generare.
- Ho sentito la tua voce in una conchiglia è il titolo del pezzo di Shadia che tratta di un evento di cronaca nera di qualche anno fa su cui molto si è speculato. Non pensavo che Fantastico! potesse arrivare in certi angoli della vita. Vita nostra, come autori di questa newsletter e vita collettiva, proprio per la natura pubblica e violenta dell’accaduto. Non siamo una testata, non abbiamo doveri di cronaca se non verso noi stessi ed è successo in passato che i cazzi propri potessero fare dei giri ampi e finire nei piatti da conversazione di chi, tutto sommato, non c’entrava niente. Shadia ha deciso di raccontare uno spaccato di vita violenta con la delicatezza e l’audacia che hanno le persone giuste, mettendo da parte l’ego e le velleità artistiche, dimostrando come sia possibile portare lassù, un poco più in alto delle brillanti idee che pensiamo di avere quotidianamente, quel mestiere efferato che è la scrittura. Non sono stati mesi facili, non saranno mesi facili per nessuno ed è giusto non nasconderselo, l’importante è dimostrare a noi stessi che il vissuto pubblico può seguire regole e grammatiche di grande pudore e altrettanto di grande compostezza e serenità. Forse, come dice il mio amico Nicola, era necessario. Non sapevamo di averne bisogno, forse non volevamo averne bisogno, ma si è creata la necessità e quindi, come scrittore e come fondatore di questa grande piattaforma comunitaria, ho deciso di prendermi questa responsabilità. Perché è necessario puntare i piedi e stabilire dei limiti, laddove né il giornalismo né il costante racconto di sé di questi tempi, sanno stabilirli. Scherziamo spesso sul non definirci artisti ma questa volta è il caso di chiedere a noi stessi di riconoscerci in quella che è una delle poche missioni chiare dell’arte. Porremo dei limiti, più in alto, più avanti.
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Non diventeremo degli influencer, potete giurarci.
Nel frattempo: ehi, buon lunedì pomeriggio!
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