Fantastico! #50
Benvenuti al cinquantesimo appuntamento di Fantastico!
Io sono bebo e questa settimana cercheremo di tenervi compagnia al meglio possibile, ma prima:
- Torna in pole position Urfidia, direttamente dal nosocomio più grande d’Italia: Milano, con un pezzo di cielo tra le mani.
- Ma che brava che è Sara P.? Avete mai provato a farla incazzare? No? Bravi! Così vi risparmierete atroci sofferenze a colpi di versi efferati.
- In una viaggio sufficientemente breve e articolato, michiamanofab passa tangenziale sui territori di Ammaniti senza l’inarrestabile verbosità e, come ogni buon racconto, apre più domande di quante risposte dia.
- È un percorso a ritroso in una memoria lontana ma a fuoco quello che i versi di Sturoimarco fanno questa settimana. Figure da matriarcato che generano sogni e incubi.
- Ho voluto inserire una testimonianza, un feedback, un sentiment, chiamatelo come vi pare di qualcuno che come tutti noi si fa delle domande su come affrontare queste settimane. Non c’è bisogno di darsi risposte, ripeto spesso, ma porsi gli interrogativi giusti. Lucia G., ci prova.
- Rebecca apre le finestre sul mondo intorno e corre dentro le solitudini imposte, immeritate, inevitabili.
- Esiste una letteratura da spostamenti urbani? Dico, aldilà di questa newsletter che è nata anche per questi tempi transizionali? Se sì, sarà eletto con maggioranza bulgara il nostro Lerio. Uno a cui i trasporti pubblici berlinesi dovrebbero intitolare una linea intera.
- È importante fare il punto su sé stessi, o farne più di uno. Let’s make a list, dicevano i Van Pelt. Questa è la lista di meg.
- Ame torna a farci visita con una coppia di poesie, accompagnate da una mail di spiegazioni forbite e brillanti, ma non è della mail di cui -fossi in lei- mi farei vanto.
- Quanta foga e rabbia e cose spaccate dentro le parole, violente e giuste, di Valentina F.
- Di due cose potete star certi, con gente come noi, e intendo me e Shadia: se compare la frase “tutto questo un giorno mi sarà utile” vuol dire che nulla, ma davvero nulla, di tutto quello vorremmo portacelo dentro.
- Le cose della vita spezzano gli esseri umani in molti modi, ma credo che tutti noi gioveremo -in futuro- seguendo la metafisica apparizione di Jerry Giagià, condotti dal condottiero patentato Alessandro.
- In coda a questo numero ciccione c’è Lole Khéops, ormai una presenza riconoscibile. Chiude con il giusto garbo dedicato all’inquietudine che abita dentro tutti noi, con quell’irresistibile voglia di mandare tutto in culo.
Non sono solito mollare la barra a dritta, però questa settimana uno che è come un fratello piccolo -alle volte pure come un figlio, a livello d’accollo, ma vabbè- ha mandato un brano che è un poco tirare le somme, un poco raccontarci da dentro e un po’ qualcosa che mi ha fatto molto piacere leggere. Quindi, invece di metterlo nella grande lista delle cose listate, finirà qui, come appendice al classico editoriale.
Punto esclamativo, di Johnny Shock
È un pomeriggio di non mi ricordo che mese del 2019, probabilmente marzo.
Sono seduto sul divano di casa e sto studiando una materia che, come sempre, non mi interessa particolarmente. Arriva una mail: è Bebo. Dice che ha creato questa cosa che non so bene come definire con le persone con cui parlo: è un settimanale? No, più tipo un blog, ma non proprio. Cioè, c’è della gente che scrive delle robe, ma delle Robe con la R maiuscola e poi c’è anche della gente che le legge. Ma le legge non come io leggo il mio libro di ricerca operativa o un articolo su Repubblica, cioè le legge interessata e poi si prende anche bene a volte.
Però io, in quel momento, non lo capisco che quella lì è una Roba.
Io, in quel momento, odio dire che scrivo. Perché negli ultimi anni ho sempre ripudiato tutto quello che scrivevo, perché quasi tutti i testi che leggevo in giro erano di gente che aveva una gran necessità di parlare di sé. Ma non di parlare di sé come ci insegnano che farebbe Petrarca, facendo poi un passaggio concettuale dal particolare al generale, per poi cercare di spiegare la condizione dell’uomo. Di parlare di sé nel senso di far vedere al mondo che si ha un’opinione, che si ha qualcosa da dire, anche se molto spesso le opinioni e le cose da dire non ci sono.
Di parlarsi addosso, direbbero i Club Dogo. E a me la gente che si parla addosso sta sul cazzo da morire.
Sul momento lascio perdere e aspetto. Aspetto e leggo i primi numeri.
Poi una notte mando una mail a Bebo in cui mi confido: gli racconto di tante cose che non vanno e di tante angosce che ho. Lui mi risponde a tutto, poi mi propone di rielaborare il testo, perché sarebbe uno spunto interessante per Fantastico!. Io non ne sono tanto convinto, ma mi fido.
Rielaboro, penso, scrivo e cancello, vado dentro ai concetti e li apro più che posso. Invio la versione definitiva e, la settimana dopo, ci sono dentro anche io. Mi batte forte il cuore, ho una gran paura, ma mi sento molto bene, come se mi fossi tolto un peso.
Da lì è iniziato tutto: i primi testi pubblicati, i pensieri che prendevano forma, la narrativa e anche una certa forma di regolarità. Insieme a me, una squadra con una gran fotta. Ci sentiamo regolarmente, ci supportiamo a vicenda nella scrittura e ci scambiamo pareri. Siamo molto affiatati.
Ora siamo arrivati al numero Cinquanta e mi dicono essere un traguardo importante. Mi dicono che passerà del tempo e ce ne saranno altri. Ne sono sicuro, ma oggi un po’ me lo voglio godere senza pensare a cosa verrà dopo. Ho sempre abbastanza paura del futuro, soprattutto quando sono felice.
Una cosa è sicura: non ho più paura di dire che scrivo.
Ieri è arrivato un numero “extra” di Fantastico! e, siccome in tantissimi hanno trovato la cosa bella, divertente e -perché no- d’aiuto, a causa di eventuali quarantene e stati casalinghi forzosi, abbiamo pensato che questa settimana saremo più presenti del solito. È probabile che arriveranno un altro paio di Extra con tante belle cose dentro, per accorciare un po’ le distanze e togliere più rapidamente le ore che ci separano.
Non diventeremo spammoni, potete giurarci.
Ieri era l’8 marzo e sicuramente avrete ricevuto auguri, regali e alcune migliaia di parole di uomini che vi suggerivano come essere o non essere (“Pronto? È il Superuovo? Come dite, Freeda con la doppia E?”). Da queste parti purtroppo siamo democraticamente una merda e ci fanno schifo questi sessismi subdoli mascherati da empowerment del cazzo. Dovete ficcarveli giù per la gola finché non soffocate. E quindi finiremo questo cinquantesimo editoriale con una poesia della grandissima Anne Sexton che, citando la sua wikipedia: “[…] aiutò ad aprire le porte non solo alle poetesse, ma anche al riconoscimento dei diritti delle donne; scrisse a proposito di mestruazione, aborto, masturbazione, e adulterio prima che temi come quelli fossero trattati da altri. Ridefinendo così i confini della poesia stessa”.
Mille porte fa
quando ero una ragazzina solitaria
in un'enorme casa con quattro
garage e se ben ricordo
era estate,
di notte mi sdraiavo in giardino,
il trifoglio raggrinzito sotto di me,
le sagge stelle distese sopra di me,
la finestra di mia madre un imbuto
da cui usciva un calore giallo,
la finestra di mio padre, socchiusa,
un occhio dove passa chi dorme,
e le assi della casa
erano lisce e bianche come cera
e probabilmente milioni di foglie
navigavano come vele sui loro strani steli
mentre i grilli stridevano tutti insieme
e io, nel mio corpo nuovo di zecca,
non ancora di donna,
raccontavo alle stelle i miei problemi
e credevo che Dio potesse veramente vedere
il calore e la luce colorata,
i gomiti, le ginocchia, i sogni, la buonanotte
— Anne Sexton, Giovane
Vi ricordiamo che siamo diventati sociali. Ci trovate su Instagram e Facebook.
Non diventeremo degli influencer, potete giurarci.
Nel frattempo: ehi, buon lunedì sera!
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